18- ANNA

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Feci un passo indietro, stupita per essermelo ritrovato davanti e rapita come sempre dalla sua bellezza.

«Di nuovo tu!» esclamai. «Non è possibile... Mi perseguiti! Sei forse uno stalker?!» dissi, ma mi resi subito conto che non si trovava lì per me. Lui stava cavalcando, non poteva sapere della mia presenza in quel giardino. Così, cercai di addolcire il tono, ma stavo andando in confusione e me ne uscii con la prima domanda che mi passò per la testa: «Cosa ci fai qui?»

Lui si mise a sedere sul bordo della vasca della fontana, tenendosi una mano premuta su un braccio. «Mi hanno chiamato in tanti modi, ma stalker non me l'aveva mai detto nessuno» disse, fissandomi negli occhi con espressione incredula.

Lo guardai per un lungo istante, stupendomi di quanto fosse affascinante anche così, spettinato e con gli abiti sporchi di terra. La camicia gli fasciava il torace, mettendo in mostra i muscoli in una maniera così seducente che qualunque donna si sarebbe persa in quella visione. Io, invece, mi affrettai a distogliere lo sguardo.

«Che cosa dovrei pensare? Sei continuamente sulla mia strada» ribattei, cercando di apparire distaccata.

«Potrei dire lo stesso. Questa è casa mia. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?»

Sussultai e feci un altro passo indietro, in preda all'incredulità.

«Che succede?» mi domandò, notando la mia espressione sgomenta.

«Questa è casa tua?» chiesi con la voce che mi tremava.

«Da generazioni.»

«Non ci credo... non è vero, non può essere vero!»

«Capisco che non potevi aspettartelo, ma la tua reazione mi sembra un tantino eccessiva» fece con calma.

Rimasi in silenzio. L'apprendere di essere finita a lavorare proprio a casa di quel giovane mi aveva sconcertata. Quando ero partita dall'Italia, avevo messo in conto che avrei avuto a che fare con persone diverse eppure, in quel momento, con quello sconosciuto di fronte temetti di aver commesso un grave sbaglio ad andare lì. Il solo pensiero di essere costretta a vederlo spesso mi turbava. 

«Con tanti posti dove avrei potuto lavorare, ho trovato un impiego proprio a casa tua...» aggiunsi, senza riuscire a capacitarmi.

«Vuoi dire che adesso lavori qui?» La sua espressione si fece di puro stupore.

«Già, pare proprio che sia così» dissi, incapace di mascherare il disagio.

«Sembra che il destino ci porti continuamente a incontrarci» azzardò.

Alzai la voce: «Ma quale destino! Io direi piuttosto l'ironia della sorte». Scossi la testa e ripetei: «Non è possibile, non è possibile».

«Si direbbe che... aver appreso che lavori per me ti abbia sconvolta» disse lui, rabbuiandosi.

«No, io...» Non sapevo cosa dire. La verità era che aveva indovinato. L'idea di lavorare nella sua casa e di ritrovarmelo davanti in ogni momento mi metteva a disagio. 

Se solo non fossi stata segnata dal passato, se solo non fossi stata tanto diffidente, avrei potuto anche essere felice all'idea di vederlo spesso. Anche in quel momento, quegli occhi stupendi che mi fissavano con curiosità facevano sciogliere una parte di me che avevo sepolto in un angolino in fondo al cuore e che non avrei mai riportato alla luce. Quel giovane era bello oltremodo, ma io dovevo mantenere le distanze e, semplicemente, ignorarlo.

«Che cosa ti ho fatto per meritare il tuo disprezzo, posso saperlo?» mi chiese, aggrottando la fronte. «Ci conosciamo appena.»

«Non ci conosciamo affatto» replicai. 

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora