41- DAVID

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Quel pomeriggio pioveva. Fermo davanti alla finestra del salotto, guardavo le gocce di pioggia inzuppare il prato. C'era qualcosa di nostalgico nel vedere il cielo grigio riversare sul terreno quell'acquazzone. Ogni goccia era come una lacrima, una lacrima a cui nessuno prestava attenzione.

Un paio di giorni prima, mentre passeggiavo al fianco di Anna per le strade di Londra, mi ero sentito vivo, euforico e avevo provato un'energia che mi aveva indotto a sentirmi il padrone del mondo. Di solito me ne andavo in giro da solo, costantemente con una tensione insopportabile che mi gravava addosso. Osservavo passivamente ciò che mi circondava, senza fare caso a nulla. Con Anna, invece, appariva tutto più bello. Perfino la grande Londra dove non avevo mai trovato un posto per me e che spesso avvertivo fredda, mi era sembrata la più accogliente delle città verso tutti, anche verso me stesso, un'anima errabonda che non trovava mai una destinazione.

Adesso, invece, sembrava che il malumore si stesse impossessando di nuovo di me, che il ricordo del pomeriggio insieme aggiungesse malinconia alla malinconia. Perché doveva essere così? Perché non potevo essere felice? Per quale motivo i miei occhi dovevano vedere il mondo sotto quella luce negativa?

Anna mi raggiunse e mi abbracciò da dietro. «A penny for your thoughts» sussurrò.

Mi voltai, sorpreso da quella frase, e lei mi sorrise.

«Un penny non basta» dissi, abbozzando un sorriso a mia volta.

«Allora dimmi quanto vuoi per uno solo dei tuoi pensieri.»

«Non vendo i miei pensieri, mi dispiace» dissi, stando al gioco e stringendola a me, lasciandomi inebriare dal suo profumo di rosa.

«In questo caso, forse, dovresti regalarli. Condividerli con qualcuno ti aiuterebbe a sentirti meglio.»

Sicuramente aveva ragione, ma io non ero pronto a metterla al corrente di ciò che ristagnava nella mia mente da una vita. Erano cose troppo complesse, troppo gravi, troppo spiacevoli per essere condivise.

«Dimmi che succede. Sei triste?» mi chiese.

Poterla avere tra le braccia stava già alleviando il mio malumore. «No, è solo che a volte avverto una certa malinconia» confessai.

«Non ti piace quando piove?»

Vedere come tentava di capirmi, provando ad avvicinarsi alla parte più oscura e nascosta di me per illuminarla con la sua bontà, mi fece sentire uno schifo. Non meritava che le mentissi, che le tenessi nascosti i miei guai.

Vorrei dirti tutto, Gioia, ma non ci riesco. Non saprei neppure da che parte cominciare.

«Non è questo. Forse dipende semplicemente da come mi sento» dissi soltanto.

«E adesso ti senti malinconico?»

Come non avrei potuto? La mia esistenza era un perpetuo grigiore illuminato soltanto dalla sua presenza. 

Feci spallucce.

«A me piace quando piove. È un'ottima scusa per restarsene al calduccio e concedersi un momento di dolcezza. Ho preparato una torta al cioccolato, ti va?»

«Sì» risposi senza indugi. Mi andava, soprattutto perché l'aveva preparata lei e sarebbe stato un motivo in più per passare del tempo in sua compagnia.

«Vieni.» Mi fece sedere sul divano e andò a prendere il dolce.

Quando tornò, posò il vassoio sul tavolinetto e tagliò una fetta di torta che mi porse.

«Dimmi se ti piace?»

Presi un grosso morso e rimasi piacevolmente sorpreso dal sapore ricco e delizioso. Era ancora tiepida e le note intense del cioccolato invasero la mia bocca. Mi ricordò la torta che amavo da bambino e che mi veniva sempre negata.

«La fame dipende dal tuo cervello e tu non vuoi cedere, vero?»

«No.»

«Bene. Allora controllati e ricorda che per espiare le tue colpe non devi sentirti bene. Il cioccolato è deleterio in questo.»

Il ricordo di quella conversazione, avvenuta molti anni prima, minacciò di amareggiarmi ancora di più.

«Allora, che ne pensi?» La voce di Anna mi riportò al presente e gliene fui grato.

«È squisita.»

Sorrise. «Me l'ha insegnata mia madre. Quando piove la preparo spesso. Rallegra ed è una coccola dolce indicata con questo tempo.»

Presi un altro morso, con il pensiero di stare violando delle regole che avevano sempre fatto parte di me, prendendomi una libertà che non mi ero mai concesso. Eppure in quel momento non mi importava.

In pochi bocconi terminai la fetta, poi mi rannicchiai contro Anna, posando la testa sulla sua spalla.

«David, cosa c'è che non va?» Aveva intuito che non stavo bene, che la parte oscura di me stava inghiottendo il resto.

«Niente.» Avrei gradito anche un altro tipo di coccola, ma non lo dissi. Lei sembrò capire ugualmente perché mi diede un bacio sui capelli, tenendomi stretto a sé. Il suo corpo sinuoso così vicino al mio fu un richiamo per me. Non resistetti. Mi allungai su di lei e catturai le sue labbra con le mie, in un bacio con il quale cancellai il mio umore nero.

Dischiuse le labbra e le nostre lingue furono libere di incontrarsi, accarezzarsi, unirsi. Le passai un braccio intorno alla vita e affondai l'altra mano tra i suoi capelli, premendo delicatamente sulla sua nuca per avvicinarla di più. Continuammo a baciarci mentre il sapore di cioccolato si mescolava sulle nostre lingue.

Ogni bacio era per me ossigeno puro, una luce che si accendeva nel buio della mia vita, un passo che mi allontanava da ciò che ero stato. Avrei continuato a baciarla, ma lei si staccò appena.

«Qualcuno potrebbe sorprenderci» disse, con il fiato corto.

Non me ne importava niente di essere sorpreso mentre la baciavo. Anna era l'unica cosa che mi ero scelto, l'unica cosa che non mi aveva imposto nessuno e me ne sbattevo altamente di ciò che avrebbero potuto pensare gli altri. A quanto pareva, però, lei non riusciva a liberarsi da quella paura e per non contrariarla ero deciso ad accontentarla. 

«Anche questa volta sei riuscita ad attenuare la mia malinconia.»

Lei mi rivolse un'occhiata compiaciuta e, con un sorrisetto che mi scaldò, disse: «Non sono stata io. È merito della torta al cioccolato».

«Non direi. È soltanto merito tuo.» Con un pollice le accarezzai una guancia, ogni volta meravigliato e incredulo che una persona come lei avesse scelto me.

Come farò a dirle tutto? mi chiesi. Al momento, però, non volevo pensarci o sarei caduto di nuovo nello sconforto, nella paura di perderla, di vederla andar via, scomparendo come il più bello dei miraggi.

La guardai negli occhi, quegli occhi che mostravano una versione diversa di me stesso. Nello sguardo degli altri avevo sempre e solo trovato diffidenza e timore a ricordarmi ciò che ero. Nello sguardo di Anna invece non scorgevo nulla del genere, ma soltanto amore e dolcezza, che per me erano come la speranza di poter diventare qualcosa di diverso da ciò che pensavano tutti, io per primo.

Tornai a posare la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e godendomi quel piacevole momento. Era uno di quei rarissimi istanti in cui mi sentivo quasi in pace, come se quello fosse il mio posto. Avrei voluto fermare il tempo e restare così, non avrei mosso un dito pur di non interrompere quella magia che Anna aveva creato con la sua sola presenza.

A un tratto, mentre ce ne stavamo abbracciati, mi venne in mente una cosa. L'avrei portata in un posto speciale, nel mio posto speciale, quel luogo che era stato per me un rifugio. Non vi avevo mai portato nessuno, ma volevo che Anna lo vedesse, volevo coinvolgerla in qualcosa di mio. 

Non sapevo se avrebbe accettato, ma volevo provarci.

La guardai e, dopo averle rubato un altro bacio, le sorrisi. «Credo proprio che da oggi amerò tutti i giorni di pioggia.» Era vero. Con lei non mi importava se fuori pioveva, se la luce era grigia e se faceva freddo. Con lei, avevo il mio angolo caldo, dolce e sereno.

The Mind Owner - 1 La tua mente è miaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora