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Attenzione in questo capitolo è presente un salto temporale all'indietro, precisamente ci troviamo nella camera da letto di Jimin prima che andasse alla festa di Tae.
Buona lettura :)













Era passata, circa, una mezz'ora abbondante eppure gli occhi di Jimin non avevano smesso di far fuoriuscire le lacrime, neanche per un secondo.
Si sentiva uno stupido, era deluso, afflitto, triste, arreso.
Arreso al suo destino che aveva ben capito, essere contro di lui.

Jimin non aveva mai desiderato nulla della sua vita, soprattutto quando i suoi genitori erano ancora vivi.
Non aveva mai chiesto un giocattolo in più, una nuova casa, altre persone come genitori, semplicemente diventata felice anche con un pezzo di carta, ma questo perché il suo papà faceva le magie con la carta.
Quando giocavano con la palla, il suo papà era il migliore, quando dovevano cucinare alcune pietanze per la mamma, il suo papà riusciva a rendere tutto più divertente, quando non sapevano cosa fare, chiedevano consiglio alla madre e molto spesso si ritrovavano tutti e tre a tirarsi i cuscini con le loro risate come sottofondo.

Alla fine di tutto, anche dopo la loro morte, Jimin poteva affermare con assoluta certezza che avesse avuto i migliori genitori del mondo e sapeva con sicurezza che il suo papà aveva provato a condividere quella felicità della vita con la sua matrigna, anche dopo la morte di sua madre.
Sapeva che lui e il suo papà, avessero provato a portare dentro quella casa un po' di felicità che la caratterizzava da sempre.

Ci avevano provato, eppure il tempo aveva portato via anche suo padre e Jimin, rimasto solo, era vulnerabile, indifeso, solo.

E così anche la felicità aveva abbandonato quella casa, ma il ragazzo sperava sempre in un miracolo o come si racconta nelle favole.
Jimin sperava che, in suo soccorso, arrivasse qualcuno che lo potesse liberare dalle tenebre.
Jimin sperava che qualcuno potesse prenderlo per mano e guidarlo verso la luce, quella luce che sembrava si stesse allontanando sempre di più.

Passarono altre dieci minuti, circa, da quando Jimin si chiuse in stanza per piangere e, improvvisamente, una luce bianca, pura, quasi accecante illuminò la stanza del giovane ragazzo che subito alzò il viso dal cuscino, adesso bagnato, per capire cosa stesse succedendo.

Quella misteriosa luce entrò dentro la stanza e si diresse vicino al muro per poi espandersi e prendere una forma umana.

Jimin sgranò gli occhi e urlò spaventato arretrando cercando di mettere quanta più distanza possibile tra sè stesso e quella che sembrava essere una...donna.

"C-chi sei??" quasi urlò quella domanda.

"Ciao piccolo Jimin" sorrise gentilmente la donna "non devi avere paura di me, io sono la tua fata madrina" rispose la donna guardandosi intorno, cercando di ammirare tutto ció che componeva il piccolo mondo del ragazzo davanti a lei.

"Fata...madrina? È impossibile, le fate madrine esistono solo nelle favole" disse Jimin con voce sottile mettendosi seduto sul suo letto e asciugandosi le lacrime che ancora solcavano il suo viso.

"Oh tesoro, ma tu credi alle favole" disse la donna per certo e Jimin sgranò gli occhi perché...
Perché nessuno sapeva di quel particolare, tranne i suoi genitori.

"Come...come..." non riuscì a finire la domanda che la fata madrina scosse la testa velocemente.

"Basta chiacchierare Jimin, dobbiamo sbrigarci! Ci sono ancora tante cose da fare e...e tu sei ancora seduto nel letto con quegli stracci!!" urlò impanicata la donna "svelto, usciamo di qui e andiamo nel giardino, non abbiamo molto tempo!!" continuò prendendo per il polso il ragazzo e lo trascinò fin fuori la piccola villetta.

"Sbrigarci? Ma per cosa?" chiese confuso il giovane cercando di stare allo stesso passo della donna.

"Ma come per cosa?? Per il ballo Jimin!! Oh, lì c'è una zucca" disse andando verso l'ortaggio "pronto tesoro?" sorrise la donna e, senza aspettare risposta, iniziò ad agitare la bacchetta.

"Bibidibobidibuh!" esclamò e una lì c'è bianca uscì dalla sua bacchetta andando a circondare la zucca che iniziò a prendere la forma di una vera e propria carrozza.

Quest'ultima era bianca, decorata da qualche disegno fatto in oro, disegno che riportava la mente di Jimin ai piccoli fiori che sua madre, ogni giorno, raccoglieva per lui.

"Oddio.." sussurrò solo Jimin ammirando quella grande e bella carrozza.

"Bella vero? Adesso...topi e lucertole!" disse ancora la fata andando a cercare ciò che aveva appena nominato.
Non passarono nemmeno due minuti che, topi e lucertole, si trasformarono in dei bellissimi cavalli bianchi e cocchieri super gentili.

Jimin in tutto questo guardava con sguardo ammaliato.
Come poteva una zucca diventare quella bellissima carrozza?
E come potevano quei piccoli esserini diventare ubbidienti e attenti?
Come poteva capitare tutto ciò?
Ma soprattutto, se lo meritava?

Come poteva dire che tutto quello fosse per lui perché se lo meritava?
In fondo, non aveva fatto mai nulla per meritare tutte queste meraviglie.

Per questo si sentì un po' fuori luogo, si sentì a disagio, perché lui non meritava nulla, se non servire le sue sorellastre e la sua matrigna.

Come poteva sognare?

"Adesso! Pensiamo a te piccolo...Jimin? Mi ascolti?" lo richiamó la fata madrina e subito si avvicinò al ragazzo.
Gli sorrise dolcemente e gli accarezzò il viso.
"Ricorda Jimin: cerca sempre la felicità, a qualsiasi costo"

Una lacrima solcò il viso delicato di Jimin ed egli sorrise annuendo.
"A qualsiasi costo" ripetè.

"Bene, adesso fammi pensare....ah ecco!! Ho trovato il vestito adatto a te!" esclamò la donna e subito agitò la bacchetta cambiando gli abiti del ragazzo che, sorpreso, sgranò gli occhi e socchiuse le labbra in una O.

"È...meraviglioso" sussurrò ammirando i suoi abiti color blu con qualche punto luce qui e lì.
Jimin non si trovava bello eppure, in quel preciso istante, si trovò più che bello.
"Vi ringrazio" disse con una scintilla di luce nelle sue iridi scure, ora, piene di felicità.

"Tesoro, non ringraziarmi, vai e divertiti" disse solo la donna sorridendo e aprendogli la porticina della carrozza.
Quando Jimin salì si avvicinò e lo guardò seria negli occhi.
"Rammenta piccolo Jimin: a mezzanotte l'incantesimo svanirà e tutto tornerà come prima, perciò torna a casa prima dell'ultimo scocco della mezzanotte, va bene?"

Jimin sorrise e annuì.
"Grazie, grazie davvero fata madrina, spero che lei sia sempre felice, se lo merita così tanto" disse solo Jimin poiché la carrozza partì immediatamente.
Si affacciò alla piccola finestra e scosse la mano salutando la donna.
"Ciao fata madrina!!!" urlò.

La donna sorrise emozionata.
"Ciao piccolo Jimin, mi auguro che tu possa raggiungere la tua tanto attesa felicità" sussurrò la fata per poi svanire nel nulla.

𝘼𝙢𝙖𝙢𝙞 𝙋𝙚𝙧 𝙌𝙪𝙚𝙡𝙡𝙤 𝘾𝙝𝙚 𝙎𝙤𝙣𝙤  ~VminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora