Capitolo 15 "Le conseguenze della partenza"

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Due settimane dopo

KATHERINE'S POV

Erano passate due settimane, da quando Jeff se n'era andato. Due settimane in cui rimasi chiusa in questa casa. I genitori di Alice mi erano venuti a trovare il giorno dopo la sua fuga. Erano ancora distrutti, ma sembrava che il loro appoggio reciproco li aiutasse a superare la perdita della loro figlia. In casa, tutto era ancora a posto, intonso quasi. Dissi loro che avevo bisogno di più tempo e che quello era l'unico posto in cui sentivo Alice più vicina a me, allora mi lasciarono stare. Ed era così. Sentivo la sua presenza vegliare su di me. Ma non era l'unico motivo. Dopo due settimane, speravo ancora nel suo ritorno. Volevo tornasse da me, anche sotto forma di killer. Non importava più niente ormai. Ma non si fece vedere. Nemmeno la sua ombra ai confini del bosco. Due giorni dopo che se ne fu andato, capii che non sarebbe tornato. Avevo ricevuto la sua lettera. L'avevo capito, mi era chiaro, ma non riuscivo a comprenderlo appieno. Fu allora che venni posseduta da una furia cieca e ruppi tutto ciò che mi capitava sotto mano, tranne le cose che mi ricordavano Alice, o che erano sue.

L'unica cosa che rimase e che mi collegava a lui, era la sua stupida lettera. Mi sedetti sul letto, la presi e la rilessi. Di nuovo. Erano le sue parole, i suoi pensieri e quel pezzo di carta aveva anche il suo profumo, nonostante fosse macchiato dalle mie lacrime.

"Kath,

so che stai soffrendo e so che è colpa mia, ma non potevo portarti con me.

No... non volevo portarti con me. Con questa lettera dovrei spiegarti tutto. O, meglio, le mie ragioni. Ma, Kath... sono in conflitto con me stesso. Vedi, non so se dirti la verità o mentirti. So che preferiresti la verità, per quanto dolorosa possa essere, ma qui la posta in palio è troppa per me. Cercherò di essere sincero e di non trascurare niente. Se succederà, non era mia intenzione, ma ci sarebbero davvero tante cose da dirti...

Kath, noi siamo assassini di professione. Siamo stati educati come tali, dopo esser stati 'salvati'. Ognuno di noi lo è diventato per motivi differenti, ma per tutti noi è scattato qualcosa. Quel qualcosa che ci ha resi killer. Per questo, l'unica opzione possibile tra noi e voi gente comune, è l'omicidio. Nessun sentimento. Niente. Ci avete tradito e noi ci vendichiamo, in questo modo. E io ci sono sempre riuscito. Provavo questa rabbia dentro di me ed era l'unica cosa di cui mi importava. Finché non ho conosciuto te. Per caso, dietro ad una finestra. Ho provato a resisterti, a non amarti e ad ucciderti, ma non ce l'ho fatta. Ti amo. Ti amo troppo. E questo mi dava solo due possibilità: ucciderti o farti diventare una killer a tutti gli effetti. Non potevo farti diventare come me. Non volevo che tu cambiassi, che diventassi il contrario di ciò che sei. Lo so che hai ricordato quel giorno. Il giorno in cui hai deciso di smetterla. Di non continuare a infliggere dolore ai tuoi genitori. O così pensavi. Ma io l'ho capito e ho fatto quel che dovevo per farti vivere la tua vita tranquillamente. Ma ho fallito. Allora ho scelto di andarmene, tenendo gli altri lontano da te e facendoti credere morta. Ma è dannatamente difficile perché ho bisogno di te. E ti amo, moltissimo.

Mi dispiace

-Jeff"

Quella lettera la sapevo a memoria, ma non mi faceva più l'effetto delle prime volte che la leggevo. All'inizio piangevo e mi domandavo perché dovevo innamorarmi proprio di lui. Ora, invece, quelle parole mi lasciavano indifferente. Era una routine: le leggevo la mattina appena sveglia e la sera prima di addormentarmi, così come si fa per lavarsi i denti, ad esempio. Dall'arrivo della lettera, passai quasi tutto il tempo a letto, con le cuffiette nelle orecchie, bevendo acqua al posto di mangiare. Non avevo più motivo di restare in vita e l'unico modo per far soffrire Jeff era andare da lui e dai suoi amici killer e farmi uccidere. Sotto il suo sguardo. Ma non volevo. Per quanto ero arrabbiata con lui, non volevo stesse male. Allora decisi di fare in modo che ciò che lui voleva per me, non accadesse. Non avrei avuto una vita e mi sarei lasciata morire. Lentamente, facendomi diventare debole, distruggendomi dentro e fuori. Fino alla morte. Quella mattina, quando mi alzai, mi diressi in bagno per farmi la mia abituale doccia mattutina. La doccia: l'ultimo posto in cui eravamo assieme. Scacciai le lacrime e mi lavai con un nodo alla gola. Finita la doccia, sentii i soliti crampi allo stomaco, quindi mi asciugai, mi vestii e andai in cucina a prendere la mia bottiglietta d'acqua. Appena varcai la soglia, vidi sul tavolo un croissant, un bicchiere con del latte, una rosa e un biglietto. Mi avvicinai cauta, osservando la rosa già appassita posata sopra il biglietto. Lo aprii e sentii una fitta al petto, riconoscendo la sua scrittura.

"Buongiorno, piccola...

non mi piace affatto che non mangi nulla e che non ti alzi praticamente mai da quel letto. Qui, come puoi vedere, c'è del cibo. Questo vuol dire solo una cosa: mangia! Spero sia quella giusta: è al cioccolato.

Prenditi cura di te, Kath.

Perf avore.

-J"

Finii di leggere il biglietto e sentii quel calore confortevole che mi avvolse: la rabbia. Stracciai il foglio, gettai via il croissant e il latte, facendo rompere il bicchiere e lasciando che i pezzi di vetro si spargessero sul pavimento. Buttai a terra la rosa e la pestai.

«HAI VISTO, JEFF? HAI VISTO COME MI HAI RIDOTTA? VEDI QUANTO SONO INUTILE SENZA DI TE? LO VEDI?» gridai, mentre le lacrime cominciarono a scendere e bruciare sul mio viso. Crollai a terra, sulle ginocchia, ignorando i tagli e i graffi per colpa del vetro, e mi misi le mani sul viso, singhiozzando nello stesso modo di quando lui se n'era andato.

JEFF'S POV

Due settimane. Erano passate due settimane da quando me n'ero andato. Lei  non si muoveva quasi mai da quel maledetto letto. La osservavo sempre di nascosto, i suoi movimenti, le sue parole. Anche quando arrivarono i genitori della sua amica, ho controllato ogni sua mossa. Era un'attrice nata, quei due non si accorsero di nulla. Oltre a badare a lei, passavo pochissimo tempo con gli altri creepypasta e uccidevo solo se ne sentivo davvero il bisogno. Mi ero posizionato su uno di quegli alberi al confine del boschetto che mi dava una perfetta visione della casa e delle camere che usava di più. Ma non ce la facevo più: non potevo vederla così. Non potevo vederla distruggersi in questo modo. Volevo sapesse che mi prendevo cura di lei, indipendentemente dalla nostra lontananza. Mi sistemai per bene, per non far vedere le cicatrici e i tagli, ed entrai in un bar. Grazie al cappuccio e ai capelli lunghi, gli occhi riuscii a nasconderli quasi del tutto. Appena dentro, aspettai che i baristi fossero presi dai loro clienti e rubai un croissant al cioccolato. Per fortuna ero bravissimo a non dare nell'occhio. Uscii indisturbato e tornai alla casa di Katherine. Entrai in casa senza fare rumore e le preparai la colazione: posai il croissant su un tovagliolo, presi un bicchiere e del latte. Con me avevo una rosa che avevo raccolto durante il ritorno dal bar. La sistemai lì a fianco poi cercai un pezzo di carta e una biro. Dopo circa un paio di minuti li trovai entrambi, sentendola svegliarsi. Scrissi in fretta qualcosa e poi uscii in tempo, prima di sentire l'acqua della doccia fermarsi. Non riuscii a correre verso il bosco quindi mi fermai dietro la finestra, cercando di vedere la ragazza, senza essere visto. La vidi entrare in cucina e osservare il tavolo, lasciando stare i suoi capelli bagnati. Prese il biglietto e lo lesse, per poi strapparlo in mille, minuscoli, pezzi.

«HAI VISTO, JEFF? HAI VISTO COME MI HAI RIDOTTA? VEDI QUANTO SONO INUTILE SENZA DI TE? LO VEDI?» gridò, mentre le lacrime scesero sul suo viso.

Sentii il mio cuore spezzarsi. Di nuovo. Non credevo che potesse succedere di nuovo, dopo che l'avevo lasciata qui. Dopo che avevo sentito il mio cuore cadere in mille pezzi, come il bigliettino tra le mani di Katherine. Sentii la mia gola bruciare e far male. Maledettamente male. Strinsi i denti cercando di trattenere le lacrime e diedi un'altra occhiata alla ragazza. Era a terra e piangeva, mormorando qualcosa. Purtroppo, le sue parole furono coperte dai singhiozzi. Non potevo vederla in quelle condizioni. Non per colpa mia, quindi me ne andai. Tornai alla CreepyHouse e, ignorando tutti, mi diressi velocemente nella mia camera. Mi gettai sul letto, riflettendo. Cosa avrei dovuto fare con lei? Solo chiedendomi questo, sentii una fitta al petto. Una brutta sensazione si fece largo in me, agitandomi tanto da sentir crescere l'ansia.




Jeff the Killer: il killer dannato e sexyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora