Capitolo IV

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Mattia aveva imparato a vivere giorno per giorno. Aveva visto un periodo così buio nella sua vita, che ora gli bastava essere vivo mentre vedeva un debole barlume di speranza. Si godeva le emozioni che riusciva a provare, anche quelle più piccole e inutili, perché la fortuna che sentiva nel suo cuore era troppo grande per essere ignorata.

Lui sapeva cosa volesse dire essere apatici. Tutte quelle settimane passate a letto immerso nell'oscurità, avvolto solo da un lenzuolo fin troppo pesante, con il cervello pieno di ovatta, gli avevano in qualche modo spento il cuore. Non sentiva più niente. Gli ultimi mesi delle superiori li aveva passati da spettatore, riuscendo a presentarsi a scuola con poca costanza e poca attenzione. Poteva capitargli di tutto: un brutto voto, una litigata con i professori, una disavventura con i suoi compagni di classe, ma niente, lui non avrebbe reagito.

Aveva ricominciato a sentire il suo cuore battere quando Mirko gli aveva appoggiato delicatamente le labbra sulle sue. Aveva capito che, debole com'era, lui aveva bisogno eccome di sentirsi apprezzato da qualcun altro. Da solo non ne era capace, e non aveva più voglia di negarlo. Così, quando tutto poi era andato a rotoli, per lui sarebbe stato ovvio ritornare nel suo comodo tepore. Ma non successe. Scoprì che fuori dalla sua camera tante altre belle cose meritavano di essere viste. Così ricominciò a commuoversi davanti alle puntate di Grey's Anatomy, a provare spensieratezza nel correre sotto la pioggia e a provare piacere nel concedersi un bignè alla crema, ogni tanto.

Con Dario ormai si era abituato alle docce fredde, al suo talento nel vittimismo, al suo mettere qualsiasi cosa prima di lui. Aveva capito che forse se lo meritava, forse lui era l'unica persona che avrebbe potuto avere, e il sentirsi costantemente uno zero era il prezzo da pagare. Eppure non sopportava la sua indifferenza.

Mattia era così: capiva l'apatia, ma odiava l'indifferenza.

Come potevi rimanere impassibile davanti a una persona a te molto vicina che si sgretolava lentamente e fuori controllo? Come potevi serrare gli occhi quando ti chiedevano disperatamente aiuto? Come potevi non vedere tutti i segnali di una valanga che stava per cadere?

Forse è per questo che la gioia nell'aver ricominciato ad essere umano, Mattia ancora faticava a credere di poter meritare qualcosa che gli facesse anche solo credere di poter essere felice.

Quella mattina, infatti, davanti al secondo caffè insieme, il biondino osservava Christian e non poteva crederci di aver trovato una persona così attenta e cara.

Seguiva attentamente con lo sguardo ogni movimento cauto che l'altro compieva, dal simpatico tic al dito medio che picchiettava assiduamente sul ripiano, al suo modo buffo di camminare, così sicuro ma allo stesso tempo così impacciato. Lo trovava attraente, forse. Come se quelle lentiggini meravigliose e la curva a cui dava vita il suo naso non fossero poi abbastanza per ritenerlo tale. Non aveva ancora trovato un difetto in lui. Sembrava così misterioso, così particolare, una di quelle persone che non riesci nemmeno a immaginarti e che, quando le trovi, ti chiedi se individui del genere non esistano solo nei libri. Christian aveva attorno a sé un'aura così ignota da sembrare ai limiti del fiabesco, un principe caduto e scomunicato, lasciato a sé stesso senza principessa. I suoi occhi non lasciavano trapelare nessun tipo di emozione, ma si vedeva che sapessero scrutare le cose al di là dell'apparenza. Anche questo lo stupì di quel ragazzo moro. Lui di certo non era un indifferente.

"Che c'è?" Un lieve sorriso imbarazzato gli apparve sul viso mentre teneva il bicchierino del caffè a mezz'aria.

Mattia arrossì appena si rese conto di averlo fissato per minuti interi con la testa appoggiata distrattamente sul palmo della sua mano. Si sentì uno stupido, perché i suoi, di occhi, non sapevano nascondere nulla. Ancora non se la sentiva di palesare un sentimento così illecito a qualcuno che conosceva così poco.

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