Mattia aveva passato molti anni della sua vita a sentire una sensazione strana, un macigno che si posava senza preavviso alla bocca dello stomaco che gli rendeva difficile digerire, deglutire o respirare e che gli annebbiava la mente. Gli succedeva anche quando era piccolo e fingeva di stare male per non andare a scuola e saltare una verifica, che poi era diventata un'interrogazione, poi un professore, poi i suoi stessi compagni. Gli succedeva quando programmava un'uscita in compagnia e improvvisamente gli veniva da piangere a immaginarmi in mezzo alle persone, quando doveva andare a danza ma una fitta alla schiena gli mozzava il fiato e gli faceva vedere tutto nero. Allora non sapesse come si chiamasse quella cosa, ma grazie a qualche informazione su internet, e poi in seguito fornite dalla sua psicologa, capì che si trattava dell'ansia.
E no, non era un modo di dire.
Certo, lui stesso si era trovato a dire "che ansia" quando era semplicemente agitato, e a volte lo faceva tutt'ora, ma era in grado e pianamente cosciente di se stesso per capire quando fosse invece spaventosamente reale. E lo era la maggior parte delle volte.
Quante occasioni saltate perché gli prendeva la tachicardia, quanti pianti disperati si era fatto nella speranza di sfogare quel brutto nodo in gola che sentiva, quante mansioni quotidiane e apparentemente semplici gli avevano messo i piedi in testa.
Che delusione sapere che quella che provava prima di ogni performance scolastica o sportiva non era solamente "la classica agitazione che ti mette allerta per farti fare del tuo meglio", che paura scoprire di non essere soltanto pigro, che angoscia sapere che la sua paura di rispondere al telefono non fosse solo timidezza. Quando aveva scoperto una faccia così pesante della sua malattia si era abbattuto, come se avesse ricevuto una diagnosi tragica, irreversibile, a per qualche motivo era ancora in piedi, e in cuor suo si chiedeva come fosse possibile.
Non aveva di certo imparato a gestirla, ad accoglierla per trasformarla in qualcosa di bello, o a fare qualsiasi cosa che consigliavano nei post motivazionali su Instagram, anzi, spesso si trovava ancora in un vortice che lo travolgeva senza preavviso. Ma in qualche modo faceva, forse concentrandosi sulle piccole cose, su ciò che gli stava intorno, sul meteo, sui passi che compieva, sull'outfit che avrebbe potuto indossare il giorno dopo, sul giocattolino che avrebbe potuto comprare ai suoi gatti o al nome che gli sarebbe piaciuto dare a suo figlio un giorno, e pian piano la sua mente gli ricordava che, come tutte le altre volte, avrebbe potuto combattere e uscirne più o meno vincitore.
Era difficile, ma l'aver trovato una soluzione abbastanza funzionante lo rincuorava almeno un po'. Forse un giorno sarebbe passata, forse non avrebbe più dovuto giocare a quel giochetto ripetitivo, forse avrebbe potuto ricominciare a vivere come si deve, senza corrodersi il fegato.
Se lo ripeté anche quella mattina, il primo giorno del nuovo anno, quando si svegliò sicuro di una nuova consapevolezza: lui meritava di stare meglio, lui meritava di essere felice, e le persone che gli mettevano i bastoni tra le ruote meritavano di essere lasciate indietro. Doveva ascoltare di più il suo cuore e il suo istinto, e non si sarebbe mai più sentito inadeguato nella sua stessa vita.
Si stropicciò gli occhi spegnendo un'ombra di un sorriso con uno sbadiglio. Nell'aria c'era il profumo del detersivo che usava la mamma di Dario e nella penombra il suo ragazzo se ne stava ancora steso a dormire nel letto accanto. La luce che filtrava appena tra i fori degli scuri segnalava le prime luci di mezzogiorno e il brontolio nel suo stomaco gli diceva di aver voglia di una bella tazza di latte e cereali.
Si toccò lo stomaco per assicurarsi che quella fosse effettivamente fame. Non si ricordava nemmeno come fosse avere appetito, come fosse voler mangiare perché aveva veramente voglia e non perché c'era qualcuno accanto a controllarlo. Si sentì felice appena scoprì, insieme a quella novità, che quella mattina era tranquillo. Il suo battito era regolare, la sua vista funzionava alla perfezione e il suo stomaco non sembrava pesare come un elefante. Era di buon umore, ed era una sensazione così strana che lo fece sorridere, stavolta per davvero. Trattenne anche un risolino, che coprì prontamente con una mano per non svegliare il ragazzo accanto a lui. Avrebbe voluto in realtà fargli aprire gli occhi, avrebbe voluto condividere la sua serenità, il suo sentirsi finalmente pronto ad affrontare tutto, o anche solo il piccolo dettaglio di avere un po' di fame. Allungò la mano per chiamarlo, ma la ritirò subito, consapevole che sarebbe stato tutto inutile: Dario si sarebbe svegliato controvoglia, bofonchiando qualche parola a caso, e gli avrebbe rimproverato di avergli interrotto i sogni solo per quello. Lui era fatto così e Mattia l'aveva accettato tempo fa, come si era messo via l'idea di avere traguardi diversi, un modo totalmente opposto al suo di reagire alle cose. Ma ultimamente si era reso conto di avere bisogno di altro: compassione, comprensione, empatia e positività.
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Sentiero ripido
FanfictionQuesta non è una storia d'amore. Questa storia parla del percorso condiviso tra due persone, durato anni, e che forse non terminerà mai veramente. Non si parla d'amore perché alla fine probabilmente i protagonisti del racconto in questione dell'amor...