Capitolo XII

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Mattia odiava il modo in cui il suo disturbo alimentare gli avesse strappato via la vita che conosceva prima. Detestava non essere più il ragazzo sempre allegro, spensierato e socievole, e la cosa peggiore era che si era chiuso nel suo guscio senza nemmeno accorgersene.

In realtà aveva mostrato sintomi sin da piccolo, quando lo prendevano in giro chiamandolo "stecchino" già a sei anni e lui si guardava allo specchio criticandosi aspramente e senza pietà.

"Un giorno tutti ti verranno a chiedere scusa. Tu hai solo un metabolismo veloce e loro sono invidiosi" gli diceva suo padre, anche lui magro di costituzione. Ma non era così semplice; sembrava che tutti si aspettassero qualcosa da lui e, in un'età così giovane, non è cosa da poco da dover sopportare.

All'improvviso tutti i complimenti degli adulti, spesso amici di famiglia, del tipo "farai il modello da grande?"gli sembravano dei veri e propri affronti e si trovava a ingozzarmi di cibo, senza riuscire a vedere un chilo in più sulla sua pancia.

Poi era subentrata la pubertà, e la musica cambiò, come il suo corpo, che divenne all'improvviso più generoso qua e là, sintomo di un brusco cambio di ormoni e uno sviluppo non ancora completo. Ora il suo corpo esile era un lontano ricordo a cui lui guardava con rammarico, come se avesse sbagliato qualcosa. Si pentì di tutte le volte che aveva aggiunto qualche grammo in più alla pasta, o quando si era concesso un pezzettino di cioccolato in più, perché ora, all'età di 14 anni, riusciva a prendersi in mano una tenera pancetta, e la cosa lo disgustava. Si sentiva sbagliato attorno ai suoi compagni già così belli e fisicati che sembravano passati già all'età adulta senza attraversare lo strazio a cui era sottoposto lui. Anche prima dell'arrivo di Alice – la conferma di tutti i suoi pensieri bui - nella sua vita, lui, senza saper dare un nome a ciò che provava, avrebbe voluto solo sparire.

Prima dei problemi fisici e di quelli psicologici arrivò un'ansia sociale subdola, e lo sapeva ora che si chiamasse così il suo terrore di trovarsi in pubblico e di essere, di conseguenza, giudicato da tutti coloro che potessero, ipoteticamente, guardarlo o intraprendere una conversazione con lui. Aveva il timore di non essere abbastanza attraente, abbastanza brillante o simpatico, ma soprattutto aveva paura che tutti si fermassero all'apparenza da adolescente con qualche brufolo e un principio di cifosi. Faticava a socializzare, si rifiutava di guardare gli altri negli occhi e aveva la nausea al solo pensiero delle cattive opinioni che tutti si sarebbero fatti di lui, specialmente a causa di questa sua condizione che, ancora sconosciuta, lo metteva estremamente a disagio. Non passò molto tempo prima che il tutto si trasferì anche nel regime alimentare: andare fuori a pranzo o a cena con qualcuno era diventata una forma di tortura a cui cercava di scappare in ogni modo.

Non riusciva a spiegare con precisone la sensazione tremenda di avere gli occhi di qualcuno puntati addosso mentre metteva in bocca la forchetta piena di cibo, ma di una cosa era certo: l'avrebbero giudicato anche lì; troppo magro e avrebbe dovuto mangiare di più, troppo grasso per mangiare così tanto. Ormai il biondino, ancora fin troppo giovane, aveva sentito entrambe le versioni innumerevoli volte, e non sapeva nemmeno a quale credere, ma in ogni caso si sentiva sbagliato e osservato, come se tutti fossero pronti, appoggiati sulle sue spalle come dei condor, a distruggergli ulteriormente l'autostima.

Il Mattia diciannovenne, fuori dalla pubertà a tutti gli effetti ma ancora nel pieno dei suoi problemi adolescenziali, ne parlava spesso con la sua psicologa, ed era il lato di lui che lei preferiva andare a stuzzicare.

"Allora, cosa farai a Natale? Fate cenone o il pranzo?" Gli stava chiedendo proprio quel giorno.

Lo studio era addobbato per le feste: un piccolo alberello di plastica decorato da alcune palline stava nell'angolo destro della scrivania, dei fiocchi di neve di pezza penzolavano da alcuni chiodi nel muro e un grosso disegno di Babbo Natale stava incorniciato appena dietro la nuca della Dottoressa. L'atmosfera era familiare, in qualche modo, ma l'angoscia di trovarsi lì non sembrava passare nemmeno il 23 dicembre.

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