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Quando arrivò davanti casa pagò il taxi e scese.
Prima di entrare in casa tolse le scarpe, chiuse la porta e vi si appoggiò sopra sospirando.
Voleva anche lei un amore con la A maiuscola, uno di quelli che ti travolgeva, che ti lasciava senza fiato, che sarebbe durato in eterno, che...
"Ti pare questa l'ora di rientrare?"
La lampada accanto al divano si accese mostrando un Cameron seduto sulle spine con un cipiglio arrabbiato.
"Uh, ciao papà. E tu non dovresti essere in Kenia a studiare qualcosa?"
Cameron si alzò in piedi e la raggiunse.
"Perché sei uscita con lui?"
Mya si diresse in cucina tallonata da lui.
"Non credo siano fatti tuoi!"
Aprì il frigo e prese un bicchiere d'acqua.
"Lo sono dal momento che abito qui!"
Mya scoppiò a ridere.
"Price non ho più quindici anni, sono grande abbastanza da prendere le mie decisioni. E non devo dare conto a te!"
Cameron si accigliò.
Aveva una voglia matta di baciarla e stringerla a se, ma voleva anche capire fin dove si era spinta con Joey.
"Ci sei andata a letto?"
Uno schiaffo lo raggiunse in viso alla velocità della luce.
"Si può sapere per chi mi hai preso? Cosa credi che sia una poco di buono? Santo cielo, non so a cosa tu sia abituato ma io non salto da un letto all'altro con la stessa metodica di come cambio vestiti! E ora togliti dai piedi!"
Se ne andò stizzita lasciandolo lì a tirare pugni al muro per essersi comportato da idiota.
Dopo una settimana ancora non si rivolgevano la parola.
Luke era dell'idea che lei dovesse scusarsi per lo schiaffo, ma Mya non era d'accordo.

Quella mattina erano seduti tutti e tre al tavolo della colazione tra occhiatacce e frasi senza senso di Jason che cercava di allentare l'aria funesta che si respirava.
"Andiamo ragazzi ma siete ancora litigati? Ma quando crescerete?"
Mya si alzò stizzita e iniziò a sparecchiare.
"È lui che deve chiedere scusa. Io non ho fatto niente."
Cameron sbuffò e si riempì l'ennesima tazza di caffè.
"Sei solo una bambina capricciosa!"
Mya si accinse a ribattere con cipiglio di guerra ma Jason non era affatto d'accordo.
"Ok adesso basta! Mi avete stancato tutti e due, questa settimana è stata un inferno. Tu Cam devi smetterla di controllarla e tu Mya smettila di comportarti come una stupida quindicenne. Non lo hai mai fatto perché iniziare ora? Anziché andare d'accordo e vivere tranquilli e spensierati vi date addosso pungolandovi a vicenda. Crescete santo Dio e ricordatevi che da lunedì lavorerete fianco a fianco, cosa farete? Vi metterete a dare spettacolo anche in azienda? Me ne vado a lavoro, al mio rientro non voglio trovare quest'aria densa di odio e contrasti chiaro?"
Tanto Mya quanto Cameron annuirono a testa bassa e sobbalzarono quando Jason sbatté la porta di casa.
"Scusami, non avrei dovuto farti il terzo grado."
Mya annuì.
"Scuse accettate."
Si voltò per uscire dalla stanza ma Cameron la fermò.
"Aspetta, tu non mi chiedi scusa?"
Mya lo guardò allibita.
"Perché dovrei? Non mi pare di aver fatto o detto qualcosa nei tuoi riguardi."
Cameron sogghignò.
"Davvero? Ti dicono niente: Reb, candida, weekend saltato e gelosia?"
Mya finse di pensarci e poi scosse la testa.
"Mh, no."
Cameron si avvicinò piano.
"Ne sei proprio sicura? Pensaci bene."
Mya fece un passo indietro e alzò le spalle.
"Ci ho pensato, non mi viene in mente niente, soprattutto se nella stessa frase c'è il nome di Reb."
Cameron fece un altro passo avanti.
"Magari posso rinfrescarti la memoria, sabato mattina pare che Reb sia passata di qui e ti abbia incontrato di ritorno dalla tua corsa mattutina. E pare che alla sua richiesta di avvisarmi che era arrivata tu le abbia detto che ti avevo gentilmente chiesto di farle sapere che per un problema di candida non potevo andare con lei ne avere alcun tipo di rapporto. Ti risulta?"
Intanto si era avvicinato ancora e Mya era finita nell'angolo senza via di uscita.
Si schiarì la gola e si strinse nelle spalle.
"Può darsi che le abbia detto qualcosa, ma non sono sicura si trattasse di candida."
La sua espressione era così angelica che Cameron scoppiò a ridere.
"Ti posso assicurare che era candida. Mi ha torturato tutta la settimana per sapere da chi l'avevo presa. Ora dimmi per quale motivo le hai propinato una simile stronzata? Volevi rovinarmi il weekend per dispetto o sei semplicemente gelosa."
Le mise le mani sulla vita e la tirò a se.
"Non sono affatto gelosa. L'ho fatto solo per vendicarmi. Reb è una stronza e di certo non era lei che dovevi portare via per il weekend, ha sempre avuto l'alito cattivo, altro che lampone. Non era suo il bacio che ti ha colpito, è impossibile."
Cameron passò il naso lungo la sua guancia e si soffermò a mordicchiarle un orecchio.
"Ammettilo, sei gelosa."
Le sensazioni che le stava procurando erano piacevoli e eccitanti ma non poteva lasciarsi andare, aveva ancora molto da fargli pagare.
Lo allontanò di scatto e mise distanza tra loro.
"Non sono gelosa! E stammi lontano!"

"Buongiorno sono Mya Clark e ho un appuntamento con Cameron Price."
Era lunedì.
Erano le otto e quaranta.
Era pronta dalle sette.
Era carica di adrenalina.
E aveva giurato di picchiare Cameron che non le aveva dato un passaggio.

Si trovava nel grande spazio adibito a sala caffetteria e reception del primo piano del palazzo dove si trovava l'azienda di Cameron.
Le ragazze erano tutte impegnate ai centralini tranne una, quella a cui si era rivolta .
Questa le rivolse uno sguardo amichevole e con un sorriso e un enorme pancione le indicò gli ascensori.
"Benvenuta signorina Clark, sono Allyson,  gli uffici del signor Price si trovano sul dodicesimo piano, prenda l'ascensore al centro e si troverà proprio di fronte all'entrata dell'azienda del signor Price."
Mya annuì.
"Bene, la ringrazio Allyson e in bocca al lupo per il suo pancione."
La ragazza la ringraziò e si scusò per rispondere al telefono.
Mya andò agli ascensori e seguendo il consiglio di Allyson prese quello al centro entrando dietro a un paio di uomini in giacca e cravatta.
"A che piano va?"
"Dodicesimo grazie."
Mya abbozzò un sorriso e cercò di calmare i battiti cardiaci.
Quando entrò nel grande atrio della società di Cameron non avrebbe mai immaginato di trovare così tante persone a lavorare per lui.
C'erano circa una quindicina di scrivanie con monitor di ultima generazione, telefoni che squillavano in contemporanea, voci che si sovrapponevano e tanti occhi che la puntavano nonostante ognuno dei presenti stesse svolgendo il proprio lavoro.

"Benvenuta all'inferno Mya, maledetta la mia linguaccia in che guaio mi sono cacciata?"
Si armò di un sorriso scioglimutande come lo definiva Luke e ancheggiando sui tacchi alti si avvicinò alla prima scrivania.
C'era un tipo dai capelli radi che cercava di spiegare all'interlocutore al telefono che lui doveva assolutamente trovare un locale per un ricevimento.
"Ehm salve, sono Mya Clark, da oggi lavoro qui. Sa dirmi dove devo collocarmi?"

Il tipo si allentò la cravatta e mise una mano sul ricevitore.
"Senti Carter ti hanno mandato nel posto sbagliato. Qui siamo al completo."
"È Clark non Carter e anche io sono stata assunta da"
Il tipo alzò una mano per fermarla dal continuare.
"Si! Esatto è mezz'ora che siamo al telefono. La capienza è di circa quattrocento persone, e cosa diavolo vuole che ne sappia io del perché hanno invitato così tanta gente?"
Dato che il tipo era piuttosto arrabbiato decise di provare con qualcun altro, optò però per una ragazza.
"Ciao, scusa se ti disturbo sono nuova qui e non so come muovermi. Da oggi siamo colleghe. Sono Mya Clark e anche io lavoro per Cameron Price. Sai dirmi dove  posso sistemarmi?"
La ragazza davanti a lei con il viso pulito e le guance tonde le sorrise e Mya fu contenta di averla scelta.
"Molto lieta signorina Clark, mi scusi ma io non lavoro per Price, lei è nel posto sbagliato." Il tutto accompagnato da un sorriso di circostanza.

Mya spalancò gli occhi e pregò per i santi protettori di Cameron che non le avesse dato l'indirizzo sbagliato altrimenti lo avrebbe fatto fuori con le sue mani.
"Ok. Sarebbe così gentile da dirmi se sono al piano giusto o almeno nel palazzo giusto?"
Altro sorriso di circostanza.
Mya odiava i sorrisi di circostanza.
"Certo. La vede quella porta in vetro? Sopra c'è scritto Import-Export Price. Lì è sicuro che troverà il signor Price."
Mya guardò la porta davanti a sé e si girò a guardare quella da dove era entrata, dove campeggiava la scritta 'Holding Innovation Service'.
Sorrise in modo amabile alla ragazza e prosegui verso la sua meta.
Quando arrivò alla Import-Export Price un senso di vertigine le passò tra gli occhi, poco prima si era ritrovata tra una ventina di scrivanie, con la luce del sole che inondava la stanza, piante verdi rigogliose e quadri appesi alle pareti.
La Import-Export Price non era niente di tutto quello.
Due pareti grigie, due scrivanie vecchie e poco funzionali, quattro sedie in plastica grigia, una stampante d'epoca e un divisorio.

Dire che era allibita era poco.
"Cos'è uno scherzo? Andiamo Price vieni fuori, niente più candida per te giuro."
Lo disse a voce alta e parecchi si girarono ridacchiando.
Una testa grigio violetto si alzò da una delle scrivanie e la soppesò con lo sguardo.
"Chi sei? Se hai intenzione di infilarti nelle mutande di Cameron fatti da parte, quel posto è già preso, chiaro?"
Mya guardò bene la donna che le aveva rivolto la parola.
Oltre i capelli grigio violetto portava degli occhiali spessi come fondi di bottiglia corredati di una orribile catena appesa al collo, e doveva avere non meno di cento anni, sicuro un pezzo di arredamento preso con tutto il pacchetto.
"Salve, sono Mya Clark, la nuova dipendente di Cameron, sarebbe così gentile da avvisarlo del mio arrivo signora..."
"Mildred, il mio nome è Mildred e sono una signorina! Si sieda che adesso il signor Price è occupato."
A Mya non restò altro da fare che prendere posto su una delle precarie e instabili sedie e attendere tentando di smorzare la furia omicida che le faceva prudere le mani.

Due cuori un martini e una vendettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora