Capitolo 4.

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Perché sono così masochista? Perché ho tutto un casino in testa invece, di avere non so un cervello, o pensieri felici.
Sola. Sono sola senza nessuno su cui contare davvero, senza nessuno che mi ascoli, o che mi capisca. Oggi è venerdì e sono felice sia terminata una settimana scolastica. Ma poi ne inizierà un'altra. Forse il dolore o la delusione sono così ci sono, finiscono, per poi ricominciare.
Sola. Ancora. Non ho amici, che mi cerchino per sapere veramente come vanno le cose ma solo per, chiedere compiti, perché non hanno nessuno con cui chattare, o perché semplicemente si sono ricordati della mia esistenza; già molte volte paio invisibile. Non solo agli altri ma anche a me stessa.
Pensando a tutto il caos che ho in mente, mi avvio verso scuola. Vado a piedi, non ho intenzione di stare in macchina pensare a tutto ciò che mi circonda, e deprimermi ulteriormente.
Ho il cellulare in ua mano, intenta a mettere una canzone di mio gradimento, con le cuffie alle orecchie. E nell'altra, tengo un libro con degli appunti, per la verifica di oggi sulla musica impressionista.
Sono assolta, nella musica, nei pensieri, e negli appunti quando il cellulare vibra.

"Pronto?"

"Buongiorno, piccola!"

"Ciao, mamma come stai?"

"Bene, sei a casa?"

"No, sto andando a scuola"

"A piedi?! Che brava, così fai un po' di movimento e dimagrisci, che stai lievitando come l'impasto per la pizza".

"Ok, ciao, mamma devo andare a sta sera!"

"Ciao, hija!"

Chiudo la chiamata, con le lacrime che minacciano di scendere, ma cerco di trattenerle, e poi con Ludovico Einaudi nelle orecchie non funziona molto.
E, senza, essermene accorta sul mio viso ha strabordato un fiume in piena.
Mi sento, bagnata, stupida e umiliata.
Cerco di cambiare, canzone, quando vado a sbattere con qualcosa, o meglio qualcuno.
E come nei film, il libro e gli appunti, si sparpagliano per terra sull'asfalto.
È alquanto strano trovare qualcuno, se si passa dai campi.
Alzo lo sguardo e mi scontro con due iridi verdi.

"Ciao, e scusa non volevo non ti ho vista".

"Non fa niente" dico con voce spezzata a causa del pianto, mentre sono accovacciata per terra per riprendere i miei appunti.

"Ehi, ti aiuto" dice il tizio con gli occhi verdi raggiungendo la mia statura e assumendo la mia posizione.

"G-grazie" dico distogliendo lo sguardo e asciugando le lacrime.

"Ehi, tutto bene, ti ho fatto male?"

"Eh, no,affatto" dico abbozzando un sorriso.

"No, sai stai piangendo"

"Si lo so, scusa ma è tardi devo andare".

Mi volto per andarmene e mentre sono a qualche passo di distanza, senzo il ragazzo rivolgersi a me.

"Comunque, sono Harry" dice Harry, con un sorriso, stampato in faccia.

Mi sento avvampare, guardo altrove e mi dirigo ancora una volta verso a scuola.
Durante il tragitto penso a quegli occhi, erano così verdi, intensi, ma non definiti, erano di un verde, azzurro, trasparente, cristallini, ecco erano cristallini quegli occhi.

Sono fuori dalla scuola attendendo, che suoni la campanella, per entrare e affrontare una giornata nella prigione che chiamiamo scuola.

Passano, circa, 10 minuti e si apre il cancello e le porte.
Vado verso la mia classe, a testa bassa, consapevole di dover affrontare una giornata come le altre, ovvero di merda.

You are a perfect girl (for me)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora