'L'inizio del colpo'

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La mattina del grande colpo era ormai alle porte. Ero così emozionata che saltavo di gioia solo a pensare a tutto quell'oro, che presto sarebbe stato nostro.

Arrivammo tutti nella grande sala, dove tutto era posizionato nei tavoli. L'unica cosa che dovevamo fare era provare le armi, sparando al manichino che ognuno di noi aveva a 3 metri di distanza. Io scelsi le più adatte, dalla più piccola a quella con una velocità di proiettile estrema, includendo ovviamente il mitra di cui tutti noi disponevamo.
Dopo aver scelto le giuste armi e aver indossato le protezioni, ci vestimmo con quella strana tuta rossa completata con la maschera di Dalì. Faceva molto caldo, ma mi ci sarei subito abituata per l'oro.
Tutti noi eravamo sotto l'occhio del Professore, che aveva pianificato ogni cosa, e ogni cosa era stata progettata con occhio profondo.
Il Professore non lasciava mai nulla incompleto, era un uomo misterioso e un fottuto genio.
Sicuramente sotto il suo comando, saremmo stati tutti al sicuro.

Il Professore iniziò a camminare avanti e indietro davanti a noi, percorrendo una linea immaginaria mentre diceva queste parole: "Non voglio sentimenti, quel che deve essere fatto deve essere fatto. Le mie regole sono già state infrante da molti di voi..." si fermò sul posto lanciandomi un'occhiata e capii a quale regola si stesse riferendo, ma sfortunatamente mi ricordò di quella figlia di puttana. Era rinchiusa nel suo ufficio da quasi una settimana e non voleva far entrare nessuno.
"...e non ci tengo ad avere altre ribellioni, se possiamo definirle tali. Quindi dovrete essere più che razionali, perché questa non è una semplice rapina ad una gioielleria-" il Professore venne interrotto da Palermo, che si avvicinò a noi con il suo bastone di legno scuro. "Ha ragione Professore, si tratta della Zecca di Stato. Fate un passo falso e vi farò saltare in aria, indipendentemente da chi esso sia. Parlo anche di te, donzella" disse facendomi l'occhiolino e subito dopo cascando in una leggera risata.
"Grazie per il tuo intervento Palermo." disse il Professore e Palermo lo congedò con un cenno di testa, così che mio zio potesse continuare il suo discorso. "Come avrete capito, Palermo sarà al comando dell'operazione-" lo interruppi subito: "E Venezia, dove la lascia Professore? Doveva esserci lei a capo dell'operazione."
"Mi dispiace tesoro, la tua tipa dovrà stare in panchina. È diventata troppo debole per un carico del genere-"
"Smettila Palermo." lo interruppe il Professore riservandole un'occhiataccia. Ma io non volevo chiudere un occhio perché volevo sapere cosa voleva dire Palermo con quell'affermazione.
"Vai avanti." dissi portando lo sguardo su di lui. "Non sono affari tuoi e adesso bando alle ciance, andiamo fuori." concluse, portando la banda fuori dalla struttura, ma io non mi mossi, restai lì con lo sguardo attaccato al Professore, sapeva qualcosa che non voleva dirmi.
Riuscivo a sentire il suo disagio, ma io non volevo saperne di andare: restai lì per fissare il professore e appena mi guardava alzavo il sopracciglio, mentre Palermo stava stringendo il mio braccio destro e cercava di trascinarmi verso l'uscita, ma con un cenno, il Professore fece uscire Palermo con gli altri, lasciandomi la con lui, allora iniziai a camminare intorno a mio zio, che si sentiva in soggezione: volevo fargli sputare il rospo.
"Caro zietto.. Niente da dirmi?" chiesi continuando a camminare tenendo fisso lo sguardo su di lui. "In quale ambito?" chiese aggiustandosi gli occhiali con quel suo modo bizzarro. "Oh lo sai benissimo. Quindi o me lo dici ora o me lo dici adesso." risposi fermandomi dietro le sue spalle. "Ho il diritto di stare in silenzio" disse ridendo leggermente, allora passai alle maniere forti. "Sergio dimmi che cazzo sta succedendo a Zulema, se non vuoi far andare a puttane il tuo piano.. Sai, ho contatti da tutte le parti." dissi andando di fronte a lui, sorridendogli compassionevolmente.
"Era una minaccia?" chiese guardandomi serio. "Forse. Adesso puoi dirmi perché Zulema è debole per questo fottuto incarico?!" chiesi alzando la voce, ma lui non me voleva dire. "Bene, ma quando andrà a puttane il tuo fottuto piano e sulla tua coscienza ci saranno più di 100 persone morte, compresi i tuoi amichetti della banda, non dare la colpa a nessuno perché è solo tua. Io voglio aiutare Zulema, perché ci tengo cazzo, e tu lo sai. Sei solo uno stronzo egoista." dissi avviandomi infuriata alla porta, ma venni fermata dalla voce del Professore, proprio come volevo. "Ha perso la figlia e questa volta per sempre." disse fissando un punto fisso sul pavimento, mentre io rimasi bloccata sul posto. "C-Cosa vuoi dire? Ha una figlia? Che significa che l'ha persa per sempre?" riempii di domande il Professore cercando di capire, così mi portò nel suo ufficio e mi accomodai nel divano inpelle di fianco alla porta, mentre il Professore aprì il cassetto etichettato Zulema Zahir e alla vista di ciò mi alzai di sobbalzo. 
Il Professore iniziò a sfogliare delle cartelle e si illuminò appena trovò quello che stava cercando: una cartella gialla ruvida contenente di fogli bianchi. Lo tenne per qualche istante fra le mani, era pensieroso, ma dopo alcuni secondi me lo passò tenendo lo sguardo fisso su esso; io lo afferrai senza pensarci due volte e l'aprii sfogliando i fogli al suo interno.
"Prima di fare l'insegnante era una detenuta. Come puoi vedere dalla sua cartella ha commesso molti reati, ha provato molte volte a fuggire ma si rassegnò decidendo di scontare la sua pena. Decise di cambiare vita dopo aver partorito perché le venne tolta dalle mani, chiunque essa sia. Da qui arriviamo a ben 8 anni fa, quando la sua carriera da professoressa di economia aziendale iniziò. In questo arco di tempo voleva proteggere sua figlia, la teneva d'occhio senza farsi scoprire ma quando la perse di vista venne qua e fortunatamente la rintracciammo, però le disgrazie accadono e quel bastardo del direttore del carcere dove venne portata Zulema l'ha uccisa, ma una cosa che non riesco a capire è la vostra storia. Siete molto misteriose e anche se vi ho osservate non riesco a collegarvi e Zulema non me l'ha raccontata tutta." concluse il Professore, ma io mi ero già persa alla parola figlia.
Lanciai il fascicolo al Professore, che afferrò al volo e mi avviai verso l'ufficio di Zulema, per arrivare da lei il più veloce possibile.

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"Zulema te lo ripeto per l'ultima volta: apri questa cazzo di porta!"
urlai tirando pugni alla porta, non sentivo la sua voce, i suoi passi.. Quell'ufficio era come vuoto. E se non mi voleva vedere?
Pensieri negativi invadevano la mente, mentre cercavo di entrare nel suo fottuto ufficio.
"Barcellona!" Denver mi richiamò, ma ero troppo impegnata ad aprire quella dannata porta che ci divideva.
Passarono minuti, ero stanca di aspettare, così aprii la porta con un forte 
Le lacrime occuparono la superficie dei miei occhi, portandomi ad una vista sfuocata di ciò che avevo davanti.
"Cazzo, cazzo, cazzo!" urlò Denver cercando di portarmi via. "Andiamo a cercare Palermo!" esclamò urlando, ma io mi opponevo e mi opponevo, non volevo lasciarla lì.
"Cosa cazzo sta succedendo qui?" chiese Tokyo dietro le nostre spalle. Andai accanto al corpo di Zulema, che era steso sulla sedia della sua scrivania, per darle la mano "Sono qui amore, sono qui." dissi facendo scendere le mie lacrime infinite. "No... No " ripetevo, cercando di portarla da Stoccolma, dato che l'attesa sembrava essere così lunga. Ma non ce la feci, sentivo come se la forza del mio corpo fosse stata prelevata con una magia. Così mi alzai e cercai aiuto da sola, ma anche questo mi era impossibile dato che i miei muscoli e il mio cuore non reagivano: caddi a terra in ginocchio e urlai, urlai così forte come se la donna in pericolo fossi stata io. Fortunatamente Stoccolma arrivò insieme a Denver e a Tokyo. Quest'ultima si inginocchiò davanti a me e mi accolse tra le sue braccia. "Non ero qui con lei." piagnucolai con voce rotta, e Tokyo mi strinse di più accarezzandomi la testa.
Portarono via Zulema, speravo con tutto il mio cuore di vederla rientrare da quella maledetta porta che adesso non poteva più chiudere a chiave.
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Finalmente potevo vederla, quindi corsi con Tokyo da lei. Era ancora lì con i battiti stanchi.
"Tra poche ore la riporteremo a casa, ci starà Stoccolma con voi. Non preoccuparti." disse Denver abbracciandomi. "Se c'è qualcosa chiamaci, novellina" disse Tokyo sorridendomi dolcemente e dopo si incamminarono verso l'uscita. "Sarà meglio che ti riprendi, bella figlia di puttana." dissi al suo orecchio ridendo leggermente.

E quando ci portarono a casa cenai con Stoccolma e Saray, aspettando che Zulema si riprendesse.
"Starà bene." disse Stoccolma. "Non diciamo stronzate, cazzo!" esclamò Saray incazzata, mentre sbatteva le posate sul tavolo facendoci sobbalzare dallo spavento. "Avete visto tutti la profondità di quei tagli. E anche se si svegliasse non starà bene, affatto. Lei voleva andarsene e noi l'abbiamo salvata, cisa vi fa pensare che non lo farà di nuovo?" chiese con le lacrime agli occhi, allora iniziai a piangere anch'io riflettendo sul discorso di Saray e dopo qualche minuto mi alzai bruscamente facendo andare indietro la sedia di 2 metri, più lanciai il coltello che avevo in mano infilandolo nella parete di legno e me ne andai infuriata in cortile, dove iniziai a prendere a pugni il sacco da boxe che avevamo nella zona palestra.
Saray e Stoccolma mi raggiunsero. "Ti farai male, smettila" disse Stoccolma avvicinandosi impaurita. "E a quale scopo? Se Zulema morirà mi sentirò responsabile." risposi concentrandomi sulla forza che usavo. "Bionda ma perché non stai zitta?" se ne uscì Saray puntandomi un dito contro. Allora mi avvicinai e ad ogni passo proferivo parola: "Perché?! Me lo spieghi, cazzo! Sai sempre tutto e non mi dici mai una fottuta cosa! Potevo aiutarla cazzo, potevo e tu invece hai preferito tenerlo per te, come le altre milioni di cose. Vaffanculo Saray, vaffanculo cazzo!" dissi tirandole un pugno nello stomaco che la fece piegare a metà e ovviamente finimmo per fare a botte e la povera Stoccolma cercava di calmarci, ma non ci riusciva, così chiamò Denver che arrivò insieme a Bogotà in un batter d'occhio per separarci.

"Morirà cazzo, morirà!" esclamai piangendo sulla spalla di Denver. "No, non dire così." rispose lui cercando di consolarmi. "E che dovrei dire Denver?" chiesi staccandomi dall'abbraccio. "Niente. Va da lei e aspettala." disse e i miei occhi si illuminarono, Denver mi aveva dato una speranza e dopo aver salutato lui e Bogotà andai in camera di Zulema, dove mi misi a sedere sulla sedia, ch'era di fianco al letto e restai lì a fissarla.

Meglio tardi che maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora