Arabia Saudita

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Una volta usciti fuori, corremmo con le nostre gambe alla velocità estrema, scoprendo il nostro limite.
L'oro in movimento era ormai nostro e la polizia non poteva più fare niente, perché ormai stavamo raggiungendo il Professore che ci aspettava con le auto nel luogo inviato a Lisbona. Erano tutti così felici, sembrava di star sognando, anche perché tavamo per diventare ricchi. Ricchi...
Io ero già ricca, anche senza quell'oro e quei milioni.
Avevo Zulema Zahir.
Ciò di cui avevo veramente bisogno era lei e non potevo mettere da parte la fiamma che accendeva in me e non potevo, anzi non volevo, sotterrare i miei sentimenti.
Lei era ciò che mi rendeva felice. Ma l'unica cosa a cui non potevo fare a meno di pensare, era lei, Tokyo, di cui ho ancora l'immagine in testa di quell'esplosione, sacrificandosi per noi e solo il pensiero mi distruggeva.
Non mi conosceva neanche bene eppure mi disse quelle parole, che sarebbero rimaste incise nel mio cuore e ogni volta che ci pensavo, ogni lettera di ogni fottuta parola sarebbero bruciate su di esso.

Salimmo sulle auto velocemente e velocemente l'autista partì.
Quel posto vuoto in macchina era il mio peggior rimpianto, non la potei salvare. Quel vuoto nella vita di tutti i giorni.
Come avevo potuto lasciare che accadesse? Avevo già perso molte persone, come avevo potuto?
Tokyo, mi dispiace.
"Ce l'abbiamo fatta." disse Zulema riportandomi fra di loro, ridevano ed esultavano, forse perché erano abituati a vedere le persone care cadere e morire. Io non mi sarei mai abituata ad una cosa del genere, mai. Faceva troppo male e dimenticare non era una parola che si poteva trovare nel mio vocabolario di tutti i giorni.
Zulema afferrò dolcemente la mia mano e sorrise, così io sorrisi a lei. Bellissima come sempre, arrugginita come non mai.
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Arrivammo in Arabia Saudita, dove ci attendeva il Professore in riva al mare, sdraiato sulla sdraio insieme al suo amico, Marsiglia. Appena ci vide si alzò e al suo fianco arrivò Marsiglia. I due ci guardarono contenti, con gli occhi illuminati dalla gioia, invece i miei occhi erano offuscati da delle brutte immagini: prima il suicidio di Zulema e dopo la morte tragica di Tokyo.
"Anche questa volta abbiamo avuto perdite importanti, ma ce l'avete fatta, sono fiero di voi. Presto sarete a godervi i vostri averi magari proprio qui, con me. No scherzo non vi voglio più vedere!" esclamò scherzoso, ridendo insieme ai miei compagni e dopo una lunga chiacchierata, andammo a cena in un ristorante, offerta dal Professore, ma avevo la testa tutt'altra parte per partecipare scherzando a quella cazzo di cena e l'ultima cosa che volevo fare era festeggiare.
E poi festeggiare cosa? La morte di una mia cara amica? Volevo solo piangere. Pugni nello stomaco quei pensieri maledetti, che tutte le volte mi facevano perdere il fiato.
"Tutto okay, Barcellona?" chiese Sergio sorridendo, ma a ciò crollai: "Tutto okay? Come cazzo fate ad essere così tranquilli e felici, sapendo che sono morte persone a cui volevate un bene dell'anima? Anche se non c'era quell'amicizia stretta, era così importante per te che avresti anche potuto, che ne so, scalare il Monte Everest in pieno inverno! Lei era una mia cazzo di amica e voi state qui a ridere e a festeggiare. Poteva esserci anche lei se quei bastardi non avrebbero fatto irruzione. Noi non avremmo fatto del male a nessuno, lei non l'avrebbe mai fatto, mai!" caddi in un pianto pieno di dolore, attirando l'attenzione di tutta la tavola, e sentendomi osservata mi alzai di scatto e scappai in bagno avvolta dalle mie stesse lacrime e una volta chiusa la porta alle mie spalle, mi sedetti sul pavimento appoggiando la schiena alla porta bianca per non far entrare nessuno e piansi, piansi davvero tanto, non ricordo nemmeno per quanto ma stavo davvero male.

"Maca." Zulema era dietro la porta che supplicava di entrare, ma io non volevo, non volevo perché ero troppo triste per parlare e non volevo che mi vedesse in questo stato, avrei potuto trasmetterle qualcosa che l'avrebbe turbata e non volevo stesse male, di nuovo, ma soprattutto a causa mia.
"Macarena." ripeté, battendo la mano sulla porta per attirare la mia attenzione, ma non volevo. "Ti prego." disse appoggiando la fronte su quella fottuta porta bianca. "Zulema va', ti raggiungo tra un po'." dissi chiaro e tondo. Lei mi obbedì ed io rimasi chiusa in quel fottuto bagno a piangermi addosso.
Tokyo, mi dispiace.

Mi alzai da terra e andai davanti allo specchio. Mi guardai negli occhi, occhi che racchiudevano momenti terribili, che con il passare degli anni si moltiplicavano.
Sofferenza, questa parola era ciò che più rappresentava il mio passato. Non c'era nessuno con me a darmi forza, o forse ero io che respingevo l'aiuto degli altri. Ero io la colpa dei miei problemi, mi disperavo e non ne uscivo più, trattavo tutti male e forse era per questo che me li ritrovai tutti contro, a trattarmi come la pecora nera.
Dopo riflessioni, che incidevano altre cicatrici sulla mia pelle, mi sciacquai il viso ed uscii dal bagno fingendo non fosse successo niente e dopo mi sedetti al tavolo e subito Zulema si fiondò su di me. "Piccola, tutto bene?" chiese abbassandosi alla mia altezza ed io la guardai annuendo "Appena finisce questa cazzata ti porti in un posto, okay?" chiese sorridendomi, mentre accarezzava la mia coscia ed io annuii, afferrandole la mano per portarla alla mia bocca per riempirla di baci dolci.
Zulema ritornò al suo posto e quella stupida ed inutile cena continuò.

Meglio tardi che maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora