11. La stanza buia (pt. 1)

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La sala era elegantemente decorata: alti archi color avorio sorreggevano il tetto finemente affrescato e la grande, liscia pista da ballo era circondata da tavoli imbanditi di leccornie provenienti da ogni angolo della Selva. Un luogo del genere non poteva che ospitare un grande evento, uno a cui tutte le personalità più di spicco erano presenti. Rhian, sfortunatamente, era una di esse.

Si trattava di una festa di fidanzamento, ma non di una qualsiasi: i giovani futuri sposi erano i più freschi germogli delle stirpi reali di Ravenswood e Altazarra: un regno Mai e uno Sempre. E se i due fossero davvero innamorati come davano a vedere, in fondo, non importava, perchè questo matrimonio sarebbe stato un simbolo di unità, qualcosa di molto più grande delle singole persone coinvolte. Anche se molti, visto l'andazzo recente del Narrastorie, apprezzavano ben poco quella soluzione.
Ovviamente, anche i Gran Maestri dovevano essere presenti a un evento così importante. La stanza stessa aveva cambiato aspetto in onore di quella serata. L'ultima volta che Rhian ci era entrato, l'affresco rappresentava solo nuvole rosee e dolci cherubini dalle guance tonde: ora, nel tetto diviso in sezioni, spiccavano anche immagini di cieli in tempesta e figure scure e ghignanti. Le immagini chiare e quelle cupe si completavano in una proporzione perfetta, come un'elaborata scacchiera. Il dipinto più grande, al centro, rappresentava la coppia che si sarebbe presto unita in matrimonio, lei con un soffice abito rosa e le stesse guance rosse degli angioletti, lui abbigliato in grigio e con lo sguardo cupo e solenne quanto le nubi in tempesta che gli facevano da sfondo.

Rhian si era messo ad analizzare gli affreschi nel tentativo di dissipare il suo disagio. Ovviamente, non funzionò. Non aveva mai amato la folla ma, ora più che mai, non era affatto abituato a stare in mezzo a così tanta gente: quella marea di persone gli rendeva la grande sala claustrofobica come una bara. Avrebbe preferito non presentarsi affatto, ma Rafal non glielo avrebbe mai permesso. Lui, o almeno così sembrava, si stava divertendo: conversava con conti e duchesse come se fossero vecchi amici, trascinandosi dietro un Rhian che non proferiva parola e che avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto.

Ultimamente abbandonava la solitudine della torre del Gran Maestro solo nelle rare occasioni in cui doveva presentarsi per eventi ufficiali, come i discorsi agli studenti o pomposi ricevimenti come quello a cui stava partecipando in quel momento. Passava intere settimane senza parlare con nessuno, se non con Rafal. Non sapeva bene come si fosse ridotto in quel modo: era accaduto lentamente, troppo per accorgersene prima che fosse troppo tardi. Ma almeno sapeva quando tutto era cominciato.
L'attimo che aveva dato fuoco a quel maledetto, malato laboratorio, qualcosa di se stesso era andato in fiamme con esso. Ne era uscito svuotato, troppo spaventato per compiere qualsiasi passo. Il ricordo di quel giorno era rimasto impresso come un marchio a fuoco, ormai raffreddato ma pur sempre indelebile. Dopo che se Rafal se n'era andato, Rhian era rimasto tra le ceneri per ore: nell’oscurità aveva pianto, urlato così tanto che sentiva che la sua cassa toracica sarebbe collassata. Ma una volta finite le lacrime non se n'era andato. Era rimasto perché non poteva sopportare di vedere di nuovo la luce, di vedere di nuovo Rafal. E forse era rimasto sperando che il suo corpo sarebbe ceduto prima di riemergere da quella fossa, o che le ceneri si sarebbero riaccese. Non ricordava come fosse riuscito ad uscire da li, ma solo il lucore accecante che gli faceva venire voglia di tornare indietro.  

Ma comunque, mentre lui pensava a questo, la festa andava avanti e il mondo continuava a girare. Era in momenti così calmi, così normali, che Rhian si rendeva conto della muta assurdità della sua situazione. Logicamente, avrebbe dovuto detestare Rafal. Lui gli aveva causato tutto quel dolore. Lui aveva ucciso Azar. Ma più ci provava, più gli sembrava impossibile farlo. Sì, forse Rafal gli faceva del male, e forse l’aveva quasi ucciso, ma era stato sempre lui a riportarlo in vita. Era lui che gli era stato accanto al funerale di Ingrid e dopo, e nessun altro. Prenditi tutto il tempo che ti serve. Mi occuperò io di tutto. Lo diceva per affetto, Rhian ne era sicuro, per farlo sentire a suo agio. Per farsi perdonare. Aveva mentito una volta, non lo avrebbe fatto più.
Megan, invece, era troppo lontana per fare qualsiasi differenza, ignara di tutto ciò che Rhian stava passando. Non esistevano parole adatte per raccontarglielo, e la distanza non faceva altro che rendere tutto più impossibile.
Alla fine, il punto era che non esisteva via di scampo. Lui e Rafal erano una cosa sola: avere paura di vederlo significava dover distruggere tutti gli specchi del mondo, e temere la sua voce voleva dire non poter parlare mai più. Per questo Rhian non se n'era andato. Semplicemente non poteva.

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