2. Bling. Bling. Bling.

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Le fermate passano lente, insieme alle ore. Declan ha infilato le cuffie nelle orecchie e ha chiuso gli occhi. Forse sta dormendo, forse no. Si chiede se starà pensando, se starà sognando e cosa vede, se vede, quando pensa, quando sogna.

Si sfiora la mano proprio nel punto in cui Declan l'ha toccato e si domanda quando la pelle smetterà di bruciare a contatto con un corpo sconosciuto, quando il suo petto smetterà di sussultare tutte le volte che lo abbracciano, che gli vanno addosso anche solo per sbaglio. Forse mai.

«Stiamo per arrivare all'ultima fermata» sente dire da qualcuno e raddrizza la schiena.

Una signora sveglia Declan e gli riferisce che quando il pullman si fermerà dovrà scendere perché è quella la sua destinazione. Declan la ringrazia calorosamente, poi si alza e afferra lo zaino che c'è a terra, che solo adesso Matt nota. Così come solo adesso nota che infilato in una manica dello zaino c'è un bastone da passeggio per ciechi.

Era tutto così evidente, dal primo momento; ma Matt non ha fatto caso a nulla, nemmeno a ciò che era così palese.

Declan si sposta e Matt ne approfitta per alzarsi a sua volta.

Lo segue in silenzio, quando l'autobus si ferma, e insieme si ritrovano all'aria aperta e con i piedi ben saldi sul marciapiede.

«Matt?» lo richiama lui. «Sei ancora qui, con me?»

«Sì» dice, anche se avrebbe potuto girare le spalle e andarsene. Tanto non l'avrebbe visto.

Declan si sistema lo zaino sulle spalle e allunga il bastone. «Ti va di venire a casa mia a prendere un caffè?» lo invita.

L'idea non è male, non è male per niente. Ha bisogno di bere, di andare in bagno e magari di mettere anche qualcosa sotto i denti, e al prossimo pullman mancano più di quattro ore. Tuttavia ha paura. Declan gli fa paura e non come ha sempre avuto paura, è un timore diverso.

«Non lo so, io...»

«Dai, cinque minuti. Giusto per essere sicuro che nessuno faccia del male a questo povero cieco.» Declan sorride e lui lo trova sfacciato.

Inghiotte la sua stessa saliva, prima di cedere a un: «D'accordo.»


*** 


Il buio è la prima cosa che accoglie Matt, quando mette piede in casa di Declan.

È lo stesso buio che vede lui?

L'aria è viziata e senza accorgersene sbatte con la punta del piede contro qualcosa, quel qualcosa che scopre essere un gradino. Fa per dirlo a Declan, affinché non cada, ma lui è già al centro della stanza, le mani poggiate alla spalliera di quello che, agli occhi di Matt, sembra essere un divano.

«Accendo la luce?» chiede e subito si pente di averlo fatto. La risata che ne segue, poi, lo fa sentire ancora di più di merda.

«Se vuoi» dice l'altro. «Scusami, ma ho dato per scontato che nemmeno a te servisse. Sai, l'abitudine...»

«Nessun problema» fa per chiudere il discorso lui, e a tentoni cerca un interruttore. Il primo che trova è sulla parete alla sua destra.

Lo tasta e in un click la casa si rischiara e i suoi occhi finalmente possono aiutarlo a orientarsi, cosa che prima non gli riusciva per niente bene.

«Meglio, adesso?» gli domanda Declan e lui annuisce, perso a osservare l'ambiente intorno a sé.

Ogni cosa – i mobili, i divani, i quadri – è coperta da teli bianchi e un leggero strato di polvere si libra dell'aria insieme a quel poco di luce che ora filtra attraverso una delle serrande che danno sulla strada. Il salotto è la stanza che lo ha accolto e i suoi occhi vengono attirati dallo stile moderno misto all'antico: le pareti hanno sopra di esse una carta sbiadita con una stampa floreale, mentre i pavimenti sono lucidi, di marmo, in netto contrasto.

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