Racconto n.1

76 9 3
                                        

L'ultimo bacio che Anna riuscì a dare a Tancredi avvenne sul letto di morte, poi questo venne riempito di lacrime e Tancredi si scolorì. La sua pelle era diventata di un colore simile all'albume dell'uovo, teneramente pallido, ma la puzza che sprigionava un cadavere faceva venire la nausea. Eppure Anna aveva visto il suo amato morire e decomporsi, fino a diventare la più concreta rappresentazione della fine. Nessuna parte del suo corpo ormai accennava a una presenza vitale, e se c'era, si trattava solo di organismi che lo avrebbero divorato. Intero, piano piano, sotto gli occhi di Anna. In realtà gli occhi di Anna non esistevano più, perché l'unica cosa che Anna vedeva era l'idea esistente del suo Tancredi.

In quel letto di morte, davanti al cadavere dell'amato e nell'assoluta melodia del silenzio, Anna si era imprigionata nella sua mente, nella più dolce fantasia che ricordasse Tancredi come una persona viva e vegeta mentre le accarezzava i capelli. Sorrideva. Gioiva. Passeggiavano in un campo, e adesso Tancredi le teneva la mano, e la guardava, come mai aveva visto qualcosa. Anna si sentì fluttuare. Capì che quel pensiero potesse durare in eterno, che nonostante l'essenza di essere pensiero riusciva comunque a suscitarle grandi emozioni. Decise di restarci, perché con Tancredi aveva raggiunto la sua completezza, l'amore profondo e sincero, quello che ti fa dimenticare il costante sussurro dell'inquietudine umana. Con Tancredi Anna era stata viva e voleva continuare ad esserlo. Pensare a questo la rendeva felice, e allora perché risvegliarsi? Perché credere che Tancredi fosse davvero morto, se poteva immaginarlo ancora vivo?

Al funerale di Tancredi, Anna non guardò la sua tomba, ma non perché non aveva voluto, ma perché non aveva compreso di essere in un funerale. Aveva fissato per tutto il tempo un punto indistinto e si era persa a immaginare Tancredi e lei che passeggiavano. La verità era una: Anna era diventata incapace di comprendere, priva di qualsiasi contatto con la realtà, chiusa nei suoi pensieri e nella convinzione della felicità eterna, perché Tancredi, quando era vivo, l'aveva convinta che esistesse davvero.

I medici la misero in un letto, ma lei non se ne accorse. Era così impegnata a pensare, che non vedeva nulla. Solo le passeggiate con Tancredi le accarezzavano la fronte.

Anna si svegliò dal suo sonno un giorno casuale, dopo due anni dal trauma. Aveva diciassette anni, ed era morta a quindici.

Accade, a volte, nei traumi post-morte, che la persona morta rimanga inconsciamente presente. Anna si era svegliata forse perché il continuo ricircolo di quel pensiero l'aveva stancata, ma Tancredi esisteva ancora dentro di lei. Mentre guardava dalla finestra dell'ospedale, con le flebi attaccate, decise di andare a cercare Tancredi. Voleva raggiungere l'inconsistente idea del Tancredi raggiungibile.

La sua vita ricominciò da quel momento. Si riprese, ricordò il suo nome e si fece degli amici. Capì quanto fosse bello aver riaperto gli occhi.

Vide il suo secondo amore sulla riva di un lago. Viso delicato simile, postura dritta simile, sguardo radioso simile. Era lui, era Tancredi.

Anna riuscì a colpire il suo cuore, e qualche anno dopo si sposò. Un giorno affiorò nella sua mente un pensiero semplice, che poi si ingigantì, fino a diventare un'ossessione: aveva sbagliato tutto. Quel ragazzo non assomigliava per niente al suo Tancredi, non si comportava come lui, non pensava a cosa fosse l'infinito, a quanto Anna fosse bella, e non era affascinante come aveva creduto. Si sentì la sua vita infilzava, rovinata, e a ciò contribuivano i suoi incubi. Vedeva il cadavere di Tancredi, orrido e puzzolente.

Nell'incapacità di allontanare dalla sua mente quell'immagine, Anna si suicidò. Il suo cadavere fu trovato nel campo delle passeggiate con Tancredi. La metafora della disperazione. Si uccide nel posto che l'aveva resa felice. Ma quei giorni non esistevano più. 

Vento sonniferoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora