4| Postumi

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Mi svegliai la mattina dopo con i guaiti di Teo e una band heavy metal nella testa. Cercai di collocare tutti i ricordi della serata precedente in una linea temporale: negozio di vestiti, Paradiso, Rirì, sbornia, attacco di panico, dottor Amato e una situazione imbarazzante dovuta ad una prematura cotta adolescenziale: ero spacciata.

Mi stiracchiai, accogliendo le feste del piccolo Teo, meno enfatiche del solito; indossai la vestaglia appallottolata sul comodino, un paio di calzettoni a pois antiscivolo e mi addentrai verso la cucina. La porta era stranamente chiusa e non appena Teo iniziò a scodinzolare, mi resi conto di non essere sola. Aprii la porta lentamente, incuriosita e impaurita di chi fosse entrato in casa mia, rimanendone innervosita. «Buongiorno Madda, ti sei svegliata finalmente, ho portato i cornetti e stavo facendo il caffè» mi accolse John sorridente e smagliante, a petto nudo e con l'espressione da splendida nottata. «Che ci fai in casa mia a quest'ora? Chi ti ha dato le mie chiavi o, tipo, il permesso di entrare?» domandai seccata massaggiandomi le tempie. «Mi ha aperto il portiere ovviamente, pensa che io sia il tuo fidanzato» rispose con tranquillità, stampandomi un bacio sulle labbra. «Sono troppo intontita per ribellarmi. Hai passato una bella serata, immagino» affermai prendendo una bustina di antinfiammatorio. «Avevi dubbi? Dò il meglio di me quando mi fanno arrabbiare, quindi, grazie bambina» rispose, alzai gli occhi al cielo. «E sei scappato senza il mio aiuto, stai diventando grande Jay Jay. Hai intenzione di metterti una maglietta?» domandai bevendo la cura post sbornia. Mi guardò malizioso «Che c'è ti metto a disagio o ti eccito?» domandò, sospirai. «Non ho forze John, dimmi che cosa ti serve» arrivai dritta al punto, questa volta fu lui a sospirare. «Se ti rispondessi te, mi prenderesti sul serio Madda?» chiese, sbuffai. «Hai appena passato la notte con una ragazza che è letteralmente il mio opposto, come potrei prenderti sul serio John? Siamo fantastici da amici, funzioniamo, come dici tu. Certo, riconosco che facciamo scintille a letto, ma la passione è una cosa e poi c'è tutto il resto. Ti voglio bene, mi vuoi bene, perché rovinarci?» chiesi retoricamente, sospirò, ma prima che potesse rispondere il campanello lo interruppe, ne fui molto grata. «Vado io» affermò scontroso John, ne fui meno grata. «Uhm, ho sbagliato interno, stavo cercando la signorina Monticelli» sgranai gli occhi, come faceva a sapere il mio indirizzo di casa il dottor Amato? Raggiunsi la porta in un paio di falcate, rimanendo a bocca aperta: il dottor Amato indossava un vestito frac color cobalto e dei pantaloni in stile ottocentesco, i capelli erano perfettamente pettinati all'indietro e coperti da un cilindro dello stesso colore della giacca. «Cosa...» mi girai verso John cercando una spiegazione, ma ora lui indossava vestiti simili dai colori differenti e...aveva i basettoni? «Colonnello Brandon, a cosa dobbiamo la vostra visita?» domandò John-basettoni. «Mister Willoughby se voleste farmi la cortesia, la signorina Marrienne ed io abbiamo una seduta terapeutica da proseguire» rispose il dottor Amato. «Willoughby, Colonnello Brandon, Marrienne, ma che state dicendo? Io sono...» mi guardai le mani, il ventre, le gambe...ero uscita fuori da un libro di Jane Austen. Il dottor Amato entrò scansando John, arrivando ad un passo da me. Mi prese una mano nella sua, era bagnata? Alzai il viso verso l'alto, stava piovendo: all'improvviso ci trovavamo all'aperto, sentivo l'erba fredda sui piedi scalzi e i capelli sgocciolare sul viso. Guardai il dottore: gli occhi scuri brillavano, le gote erano arrossate e le labbra umide, aperte in un sorriso dolce, premuroso, che col suo calore contrastava il freddo sulla pelle. Sussultai appena spostò una ciocca di capelli bagnati dietro l'orecchio. Sentivo il rumore dei nostri respiri, tutto il resto era ovattato e mentre osservavo ogni suo piccolo particolare ad ogni battito di ciglia, riuscivo a percepire quanto il mio corpo, il mio cuore e la mia testa sentissero il bisogno di lui. Era lui. «Signorina Marrienne, devo dirvelo: mi avete stregato anima e corpo e vi amo... vi amo... vi amo. E d'ora in poi non voglio più separarmi da voi». Non aspettai: lo baciai. Ansanti, senza fiato, in silenzio. Solo i nostri occhi parlavano, palesando il bisogno di averne di più l'uno dell'altro. Gli tolsi la giacca freneticamente, slacciando subito dopo la camicia: il suo petto nudo, si muoveva velocemente, sembrava vibrare sotto il mio tocco. Il mio vestito cadde sull'asfalto quasi subito, lasciandomi completamente nuda davanti a lui. Non mi sentivo a disagio o fuori luogo, al contrario, era così giusto, come se fosse sempre dovuto essere così. Per questo motivo quando mi svegliai sudata e sola nel mio letto, mi venne da piangere. Almeno fino a quando i rumori provenienti dalla cucina non divennero troppo forti per passare inosservati. Scesi dal letto quatta quatta, avvicinandomi alla cucina silenziosamente, fino a vedere lei. Mia madre. Era tutto nella norma.

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