6| Ragione e/o sentimento

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Quante volte era già capitato? Che fossi sola o in compagnia, tornavo a casa e trovavo John e i suoi jeans davanti al portone «Ho bisogno della tua pelle» diceva ed io finivo sempre per prendermi cura di lui. Forse era questo che intendeva dicendo "funzioniamo".

Zac non ne voleva sapere di lasciarmi sola, nonostante continuassi a ripetere che era tutto nella norma, che non importava e che ci saremmo rivisti presto, e Dio sa quanto questa specifica promessa mi terrorizzasse, lui continuava a seguirmi. «Zac, dico davvero potrebbe essere imbarazzante e non voglio dover aggiungere un nuovo "e se" alla lista di tutti quelli che ti riguardano» tentai per l'ultima volta. Lui alzò le spalle, tenendo le mani in tasca e il sorriso stampato sul viso. «Neanche io, per questo ti voglio aiutare. Per questo e per vedere questo fantomatico ex ragazzo» «E chi ha detto che è un mio ex?» chiesi sorpresa guardandolo di sottecchi. «In base alle nozioni che ho su di te, ho una buona percentuale di ragione» rispose ridacchiando. Sospirai. «Ecco un esempio esplicito del perché non dovresti uscire con il tuo terapista» bofonchiai arrivando alle strisce pedonali. Zac rise stringendo gli occhi, mentre con un passo mi raggiungeva al palo del semaforo pedonale. «Ed eccone un altro che smentisce il precedente. Sei bellissimo quando ridi. Anche quando non lo fai eh, ma quando lo fai sei...» mi bloccai, rendendomi conto del suo repentino avvicinamento al mio corpo, appoggiato sgraziatamente al freddo ferro del palo. Mi sfiorò il viso, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio: la scusa perfetta per proseguire il contatto tattile sul collo, proprio in quel dannato punto, risalendo poi sul mento. «Mi ero ripromesso di non farlo, ma tu continui a guardarmi con quegli occhioni ed io sono troppo debole per resistere, Mandy» sussurrò alzando di qualche grado il mio viso. Mi stava per baciare. Come nei film: le parole giuste al momento giusto. E quel profumo di buono che emanava la sua pelle, al retrogusto di vino rosso. Il suo viso raggiunse il mio, socchiusi gli occhi, il ritmo cardiaco aumentava e poi quel fastidioso ronzio che s'insinuava nelle orecchie. Un lamento. Un imperativo. «Maddalena Monticelli vieni subito qua»: una Michelle esausta e arrabbiata dal lato opposto della strada. «Promettimi che dopo riprendiamo esattamente da qua» sussurrò Zac a fior di labbra «Se ci sarà un dopo e tu non sarai scappato, riprenderemo da qua» risposi, sfruttando le punte dei piedi per chiudere la distanza in un bacio frettoloso e sgattaiolando via approfittando del suo disorientamento.

Michelle mi guardava sospettosa e sorpresa, con le mani sui fianchi e le sopracciglia tese. «Non è il tuo psicologo quello? Va be' ti sgriderò domani, adesso vado a casa che non ne posso più. Buona fortuna» concluse prima dell'arrivo di Zac, imbambolato, ad un passo dal marciapiede. Gli sorrisi con dolcezza, poi girai il capo verso il portone di casa, sospirando all'immagine: John accucciato con la testa tra le ginocchia, scalzo.

«Qualunque cosa succeda, mi dispiace tanto» affermai sentendo la presenza di Zac alle spalle, non disse nulla e mi seguì.

John alzò la testa nel momento esatto in cui i miei piedi entrarono nella sua visuale, circondando i suoi. «Ho bisogno del tuo calore: facciamo l'amore» biascicò serioso. Sospirai, chinandomi alla sua altezza. «Che cosa è successo John?» domandai, dolcemente. «Perché mi rifiuti? Stiamo così bene insieme, ti ricordi quando siamo andati in fuga dal Natale e ci siamo chiusi nella camera dell'Ostello a fare l'amore per cinque giorni consecutivi, facendo solo pausa per pipì, cioccolata e gassosa?» chiese, facendomi sorridere, nonostante l'imbarazzo dovuto alla presenza di Zac. «Certo che mi ricordo Jay Jay, avevo 17 anni e a mia madre venne un mezzo infarto. Che ti prende?» insistetti, sospirò. «Ho mandato tutto a puttane Madda, non so che cosa...» si bloccò, notando solo in quell'istante la presenza di Zac. «E tu chi cazzo sei?» imprecò alterato, cercando di alzarsi in piedi, ma finendo con l'atterrare di nuovo con il sedere per terra. «Mi dispiace così tanto Zac» sussurrai, lui scosse la testa sorridendo. «Non ti preoccupare, avanti amico, aggrappati a me» affermò prima a me, poi a John, prendendo in mano la situazione. In spalla più che altro. John non si ritrasse, al contrario, si appoggiò totalmente alle spalle larghe di Zac per tirarsi in piedi. «Andiamo su, c'è l'ascensore» esclamai aprendo il portone, ringraziandolo con lo sguardo.

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