3| Neve imprevista.

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Sono nata a inizio settembre, durante una bufera di neve estremamente fuori stagione. Le strade erano impraticabili e mia madre, non ancora diciassettenne, si era ritrovata da sola ad affrontare un parto difficile. Nell'album del mio primo anno di vita, c'era una foto scattata nel reparto maternità insieme alle infermiere, l'ostetrica e il caporeparto, con tanto di dedica alle ragazze Monticelli. Aveva insistito mia madre a farsela fare dalla nonna ed era ironicamente un futuro già scritto. Mio padre - vent'anni appena compiuti, si lasciò convincere a sposare mia madre, nonostante l'età, ma ci mise molto poco a cambiare idea, fuggì di notte prima che compissi 5 anni, lasciando solo un biglietto con scritto questa vita non fa per me. Mia madre non pianse una lacrima, fu la prima volta che la sentii pronunciare le parole che in futuro sarebbero diventate di monito alle mie azioni: «Ci sono sempre due strade: quella corta e facile e quella lunga e difficile. Hai la libertà di poter scegliere quella che fa per te, ma devi vivere con il peso delle tue scelte.»

Avere una mamma tanto giovane mi fece crescere in fretta: imparai che fare a cazzotti non era il modo migliore per esprimersi, ma una necessità per difendersi dalle teste calde. Mi insegnò ad essere aperta e sincera, anche sugli argomenti difficili, non c'era nulla che non dicessi a mia madre e viceversa lei con me. Più crescevo più il legame diventava solido, al contrario di quello con i miei coetanei: per quanto fossi diventata brava nell'arte della difesa, c'era sempre qualcuno che sferrava attacchi da ogni fronte. Non mi interessava avere degli amici, avevo mia mamma.

A quattordici anni mio padre bussò alla porta di casa con una bambina per mano «Lei è Barbie, tua sorella. Giocaci» aveva detto solamente, entrando in casa come se fosse ancora sua. Barbie aveva 12 anni, la vita sottile e le gambe lunghe: sembrava una donna in miniatura. Mi rubò un reggiseno e si fece fare una foto indossando i miei vestiti, molto più grandi dei suoi, prendendomi in giro negli anni a venire per quanto fossi grassa. Mio padre rideva con lei ogni volta che guardava la foto. Fu l'ultima volta in cui mia madre e mio padre s'incontrarono e la prima di molte volte in cui io incontravo la mia sorellastra.

Tentò inutilmente di rubarmi John qualche anno dopo: ricordavo ancora la faccia scioccata di Barbie davanti al suo rifiuto. Eravamo al Paradiso, in una serata autunnale aperta agli artisti emergenti; John ed io stavamo lavorando, c'era il pienone, lei faceva la sgualdrina tra un ragazzo e l'altro. Durante una delle poche pause bagno - sigaretta, si era avvicinata, tentando in ogni modo di toccarlo e baciarlo nonostante io fossi a pochi metri da loro. All'ennesimo rifiuto (mi fidavo di John) era scoppiata: «Perché stai con lei quando puoi stare con me?», «Non tutto quello che è marrone poi sa di cioccolata» aveva risposto lui. Lei non aveva neanche capito la battuta. Facemmo l'amore nel parcheggio del locale quella sera, mentre la neve copriva di candore il parabrezza offuscato dai nostri respiri.

Giravo ormai da ore tra i negozi, alla ricerca di uno stupido abito che non mi facesse sembrare goffa alla cena di prova del matrimonio di Barbie e l'orco. Non ci volevo andare, ma dovendo farlo, era necessario che fossi impeccabile. Tuttavia, trovare un abito da sera perfetto per le mie forme ad un prezzo adeguato non rientrava nelle collezioni abbordabili dei negozi delle famose catene di abbigliamento femminile. Stavo per rinunciarci, immaginando già di indossare i soliti vestiti modesti, quando l'insegna di un negozio attirò la mia attenzione, "più forme più gusto", c'era scritto sulla vetrina dai manichini cicciottelli. Appena entrai sbucò una signora con in mano tre abiti da sera sulle grucce. «Ciao cara, ho qualcosa per te» affermò alzando il viso verso il mio. Rimasi impietrita qualche istante, cercando di collegare quei lineamenti particolari di un viso già visto, nella mia linea temporale; poi la riconobbi: era la mamma della ragazza di Lione, Rirì. Quante possibilità c'erano? «Il destino svela le tracce ogni tanto, ricordi? Seguiti i segnali?» domandò retoricamente appoggiando gli abiti sul bancone per abbracciarmi calorosamente. «Rirì è appena andata via: ha uno studio fotografico, ma si sente sola quando suo marito non c'è: è proprio un caro ragazzo, sai? Fa il cantante, pensa che ha organizzato tutto un matrimonio a sorpresa alle Hawaii. Non ho mai visto Rirì così felice. Però, come dicevo, si sente sola senza di lui e passa ogni tanto ad aiutarmi in negozio. Stasera andrà a una festa nel locale dove lavorava, le farà piacere vederti. Lo conosci anche tu il locale, si chiama Paradiso» aggiunse nel mio totale sgomento stordito. Mi aveva ubriacata di informazioni e le coincidenze, poi, erano così tante da scavalcare lo stupore. Non solo vivevano nella mia città, Arianna aveva lavorato nello stesso posto dove avevo lavorato io e lo avevo scoperto entrando per caso nel negozio di sua madre, che, ovviamente, vestiva le taglie abbondanti. Sì, non faceva una piega nel mondo dei cliché. Stavo per uscire di corsa dall'ansia della situazione generale, quando il telefono mi fermò con un messaggio di John: "Stasera al Paradiso c'è una serata anni '70, chiedono se posso esibirmi ed ho bisogno del consenso della mia agente per farlo. Richiesta la tua presenza."

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