2| Esenti al pacchetto

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Bologna, febbraio 2020

Una stronzata: la terapia con quella donna era una grandissima stronzata. Era la quinta seduta dalla quale uscivo senza un bel niente in mano. Maledetto quel giorno in cui avevo dato retta a quella ipocondriaca di Michelle e la sua amica scroccona: «Tanto è gratis, sono servizi che offre l'azienda ai dipendenti» aveva detto la seconda «E ti farebbe bene parlare con qualcuno di quello che ti è successo. Qualcuno di, uhm, esperto» aveva aggiunto Michelle con un sorriso amichevole. Avrei voluto dirle che non era niente di grave, che stavo bene, che non era la prima volta che succedeva e che non ero l'unica alla quale era successo, ma sapevo che Michelle era preoccupata e che mi voleva bene. Eppure quando avevo provato ad affrontare il discorso con la psicologa, mi aveva guardata come se fossi un vaso di cristallo in bilico sul precipizio. Come se una sconosciuta potesse entrare nella mia testa riuscendo a non perdere la strada. Alla terza seduta mi ero inventata anche una pietosa storia di alcolismo giovanile, risolta con una scabrosa storia d'amore con l'insegnante privato di francese. L'espressione della dottoressa era diventata come quella di un adolescente davanti al suo primo film vietato ai minori. Era stato molto divertente, ma mi era costata la seduta dopo sulle conseguenze che quell'episodio aveva portato al mio corpo abbondante e quindi alla mia emotività. Tutte stronzate. A quindici anni mi ero presa una sbronza pesante mescolando vino rosso con vodka alla pesca e birra, vomitando l'anima al campetto da calcio del don. Da quel giorno avevo smesso di bere così tanto, almeno fino ai vent'anni, ma sempre mai troppo da perdere conoscenza. E l'insegnante era di matematica: un simpatico nonnino giovanile del centro ricreativo dove lavorava mia mamma. «La prossima settimana avrò la febbre, che mi procurerà una forte mole di lavoro arretrato fino a quella dopo. Poi avrò un impegno dopo l'altro, tra la mostra fotografica, l'evento di beneficenza al museo e poi siamo già ad aprile con la rassegna musicale-poetica. Non avrò un minuto libero per la terapia, assolutamente, nemmeno uno» affermai sicura di me stessa, falcando i corridoi della clinica, fino all'esterno. Scossi la testa sbuffando e recuperando le sigarette dalla borsa, non trovando il pacchetto nuovo. «Dannazione, devo sistemare 'sto casino. Che strazio! Non ci vuole un dottore per capire che sono stressata! Perché è questo che ho. Stress! Ho vissuto una vita circondata da medici che ad ogni brufolo e chilo in più hanno associato lo stress come giustificazione, ora vogliono venirmi a dire che c'è dell'altro oltre a quello? Siete in ritardo di ventotto anni, miei cari. Dove diavolo sono finite queste sigarette del cavolo, uffa. Ecco sono impazzita, devo tornare dalla dottoressa "oppure no"» sospirai, pronta a rovesciare il contenuto della borsa per terra, al limite della crisi, giusto prima di vedere una sigaretta sbucare nel mio campo visivo tra le dita di una mano maschile. «La dottoressa oppure no, divertente» commentò la mano, cioè il proprietario della mano. Alzai lo sguardo imbarazzata, strizzando gli occhi per il sole in faccia. Notai per primo il camice bianco, poi la barba e i capelli corvini, mossi e lunghi alla nuca, tenuti all'indietro con del gel. Il sole mi impediva di vedere i lineamenti e l'espressione del viso, ma non ne ero dispiaciuta: ero troppo imbarazzata e le mie ultime esperienze nell'ambiente ospedaliero avevano sfiorato i limiti della mia dignità femminile. Presi la sigaretta, prima che il dottore potesse ripensarci «Grazie, stavo per svuotare la borsa per terra. Devo sembrarle impazzita. Non sono pazza, davvero» affermai ridacchiando istericamente, lui scosse la testa, avvicinando la fiamma dell'accendino verso la mia sigaretta, accendendola solo dopo averlo fatto con la sua. «La dottoressa Fantini usa un metodo particolarmente snervante con i suoi pazienti: la maggior parte di loro cambiano terapeuta dopo un paio di appuntamenti. Ci chiedevamo chi fosse la coraggiosa paziente che aveva resistito così tanto» disse con voce morbida e divertita. Alzai le spalle: «Mi ha pagata» ironizzai, rise. Aveva una bella risata, mascolina. «Manterrò il segreto» rispose malizioso, aspirando dalla sigaretta. Poi continuò, cambiando tono: «Però mi sento in dovere di dire, parlando da terapeuta, che lo stress è la scusa che i dottori di medicina generale appioppano ai pazienti per passare la palla a noi psicologi che dobbiamo scavare per capire la fonte di questo stress. Ripeto, parlando da psicologo, non da uomo» ridacchiai, cercando di capire se i suoi modi amichevoli nascondessero qualcos'altro. «Lo sapevo, io l'ho sempre detto, ma nessuno mi ha mai creduto! Potrebbe metterlo per iscritto e firmarlo, lo devo far vedere a Michelle, la mia amica ipocondriaca: ha una scansia nella libreria piena di libri di self-help e stronzate varie sullo stress. A Natale, le ho regalato un libro sulla masturbazione femminile come cura a tutti i mali» mi lasciai andare: non ero mai stata una ragazza timida e riservata. Lui rise di gusto. «Potrei proporlo alle pazienti più ostili, una terapia interessante» «E molto appagante direi» aggiunsi, facendolo ridere di nuovo, mentre la sigaretta finiva tra le dita e nell'imbarazzo di terminare una piacevole chiacchierata. Stavamo buttando la cicca nel posacenere, quando la sua mano sfiorò la mia scatenando una piccola scossa elettrica. Scostai di getto la mano, lui sorrise, almeno così sembrava. «Non mi ha detto il suo punto di vista da uomo» feci notare in modo velatamente malizioso, mascherato da curiosità. Si toccò la nuca con la mano, facendo sbucare dalla manica del camice la traccia di un tatuaggio. «Da uomo converrei con lo stile del regalo natalizio che ha fatto alla sua amica. Una donna con tanto fervore è stuzzicante da molti punti di vista.» Era la seconda volta che mi faceva arrossire nei pochi minuti di una sigaretta. Stavo per ribattere, ma mi fermò subito, porgendomi il suo bigliettino da visita: «Nel caso si sentisse in colpa per i soldi della Fantini e volesse cambiare terapeuta, oppure fare due chiacchiere sui metodi alternativi per combattere lo stress. In ogni caso grazie per la compagnia» disse, salutandomi con la mano per poi entrare dalla porta a vetri.

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