11| Ricominciare

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Un anno esatto dopo

C'era una volta, in un regno non troppo lontano, ma circondato da campi rigogliosi e risvegliati dalla rugiada mattutina, una carismatica fanciulla dalla pelle candida e le gote arrossate il cui nome era Maddalena. Maddalena amava leggere all'ombra e guardare film bevendo gassosa e mangiando patatine e cioccolata. Non era avvezza alle mode, andava costantemente controcorrente e di ciò ne era fiera; tuttavia non poté ritirarsi all'amore e alle tragedie che ne conseguono. Aveva amato un uomo, il vero principe delle fiabe che non si era mai dimostrato inferiore alle aspettative. E lui l'aveva amata, così tanto da mettersi da parte per il bene della fanciulla, continuando ad osservarla da lontano in disparte, aspettando il momento buono per riprendersi il suo lieto fine. Maddalena non sapeva che il principe continuava ad aspettarla, come avrebbe potuto pensarlo? Aveva spezzato la magia dell'idillio, cadendo nella trappola dell'orco cattivo. Tuttavia, non aveva perso la speranza: era decisa a ricostruire la strada di mattoni dorati che portava dritta dal suo amato, con dentro al saccoccio, gassosa, vodka e un panino da dividere in due.

Sorrisi, guardando l'immagine riflessa allo specchio: la pelle leggermente abbronzata aveva lasciato lo spazio alle lentiggini di invaderne la superficie, la frangetta cadeva perfettamente un millimetro sopra gli occhiali e il color cioccolato dava più risalto agli occhi chiari, sapientemente truccati di marrone; le labbra piene erano incorniciate da un lieve tratto di matita un paio di toni più scuri del loro colore naturale e luccicavano alla luce del sole grazie al burro cacao al lampone. L'orologio segnava le 14.12, non potevo che essere orgogliosa del perfetto anticipo non esagerato, né pretenzioso. Presi il foglietto piegato in sei dalla tasca della giacca casual ma elegante e lessi il titolo: "rimettersi in sella, lista". Era diventato il mio porta fortuna, la lista stilata l'anno scorso con Rirì, scritta nero su bianco sul foglio e poi in bella vista sul frigo sorretta da due calamite. Avevano tutti preso a cuore questo progetto, Francesco, marito di Rirì, mi confessò che per lui era come un tuffo nel passato: «Ho conosciuto Rirì grazie ad una lista come questa e mi sono perdutamente innamorato di lei realizzando al suo fianco i suoi obiettivi», aveva detto un giorno, vedendomi soddisfatta nello spuntare il primo obiettivo - trovare un nuovo lavoro. Era stato così facile che quasi mi sentivo in colpa con il resto della categoria dei disoccupati. A quanto pareva il famoso "bene o male, purché che se ne parli" non era solo una mezza citazione di Oscar Wilde: l'articolo che doveva rovinarmi la carriera aveva aperto più porte di quanto l'agenzia avesse mai potuto fare; in un anno non solo ero riuscita ad aprire la mia agenzia, avevo sbaragliato la concorrenza. Per quanto riguardava la vecchia agenzia, invece, i cognati di Rirì mi avevano convinta a fare causa per danni e diffamazione: l'amico giornalista di Teo aveva poi detto che le sue fonti venivano dai piani alti dell'agenzia e questo era bastato per dare il via. Proprio in questo momento, mentre aspettavo che uscisse dal bagno Rirì, i miei avvocati stavano riscuotendo un altro assegno dai vinti. Era bella la sensazione di potere che percepivo: il destino mi aveva dato un'altra possibilità e non avrei mandato di nuovo tutto a puttane. La posta era troppo alta. «Eccomi, scusa. Mi hanno consigliato delle pillole per migliorare la diuresi e santo cielo, non faccio altro che fare pipì!» esclamò Rirì uscendo dal bagno al ritmo dello sciacquone. Ridacchiai, lasciandole lo spazio dal lavello per lavarsi le mani. «Ti ringrazio per essere venuta con me. Mi rendo conto di essere stata un peso quest'anno, ma siamo arrivati agli ultimi punti della lista e non posso affrontarlo senza il tuo sostegno» confessai sospirando. «Hai superato tante sfide Mandy, ti manca solo sconfiggere Crono e mi sento onorata di essere la tua Meti per un pomeriggio» rispose dolcemente appoggiando una mano sulla mia spalla. Annuii, lisciando la gonna di ecopelle sui fianchi: per affrontare mio padre avevo scelto un look grintoso nella speranza che potesse essere d'ispirazione.

Uscendo dal bagno, l'odore sterile dell'ospedale era nauseante: era la puzza che avevo associato a mio padre da quando ero bambina, motivo per il quale odiavo gli ospedali. Tuttavia, avevo preferito prendere un appuntamento in ambulatorio, piuttosto che fargli visita a casa: senza la moglie avevo l'attenzione solo per me. L'idea di prenderlo a nome di Arianna era stata di Odette, un'ottima idea. Lo avrei sorpreso e quello era il suo tallone d'Achille. Non facemmo in tempo ad uscire dal bagno che l'infermiera ci richiamò all'ordine, il Dottor Porta ci stava aspettando. «Trovare un nuovo lavoro - cambiare look - essere più forte - parlare dei miei problemi e chiedere aiuto - affrontare "il problema". Ce la farai» sussurrò Rirì punto per punto la mia lista del rimettermi in sella, varcando la soglia dell'ambulatorio. «Maddalena, che cosa ci fai tu qui» affermò mio padre di stucco. Inspira, espira. «Ciao papà, dobbiamo parlare» risposi con un mezzo sorriso. «Hai una bella faccia tosta Maddalena a presentarti qui dopo quello che hai fatto a tua sorella» «Avrò preso da mio padre: presentarsi dopo aver provocato un trauma come se niente fosse è proprio da lui. Però, a differenza sua io preferisco affrontare il problema, non scappare nascondendo la polvere sotto il tappeto» partii subito in quarta, incrociando le braccia al petto. «Non ho intenzione di parlare con te» disse sbrigativo, esaminando le carte sulla scrivania. «Ottimo, stare zitto e ascoltare ti farà bene. Quando avevo otto anni sono caduta dalle scale rompendomi una gamba in più punti e incrinando un paio di costole, una di quelle ha perforato un polmone creando ulteriori problemi. Stavo per morire e mamma con me per la paura di perdermi. Tu non eri con noi. Ho sempre pensato che un giorno avresti fatto ammenda dei tuoi errori, cercando di fare il possibile per rimediare, per conoscermi, accettarmi e per fare il padre o quantomeno qualcosa di simile. Una parte di me ci spera ancora, la parte che non riesco a controllare, quella che mi fa dubitare di tutti. Ho lottato contro quella parte, sai papà? Non la volevo più ascoltare, mi riportava sempre a te e ti ho odiato per questo» dissi tutto d'un fiato, interrompendomi solo un istante per respirare. Lui colse la palla al balzo per intrommersi: «Senti Maddalena, che cosa vuoi da me? Dei soldi? Sei gelosa perché ho pagato il matrimonio a tua sorella? Perché mi sono rifatto una vita? Sei abbastanza grande per cavartela da sola. Avanti, quanto vuoi, ti faccio un assegno» tagliò corto lui. Sospirai, trascinando una risatina amara. «Ti fa ridere?» «Non ammetterai mai di aver sbagliato, vero?» chiesi continuando a sorridere. «L'unico sbaglio che ho fatto è non essere andato via prima» rispose senza enfasi tirando fuori il libretto degli assegni. In quell'esatto istante accadde qualcosa di inaspettato. L'aria che entrava nei polmoni era più leggera ed usciva con più calma e tranquillità. Sentii l'abbraccio caldo di mia mamma e il profumo della sua pelle. Vidi l'immagine di una piccola Maddalena prendere la mano di mia madre, sorridendo entusiasta. Udii le risate dei miei amici e percepii la presenza di Zac. Inconsciamente misurai i battiti del cuore dal polso, come prova di quello che stavo sentendo. Vita. Finalmente. Rirì toccò la mia spalla sussultando. Aveva sentito quello che stavo provando. La guardai. «Possiamo andare» dissi, lei annuì prendendomi per mano. «L'ho sempre pensato che fossi un po' pazza» affermò divertito mio padre. Scossi la testa. «Così pazza da perdonarti» commentai, chiudendo la porta alle spalle.

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