Epilogo

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Anno terrestre 2518


Il caporale Alex Mason camminava per i corridoi del Quertier Generale della Sicurezza Planetaria, controllando che tutto fosse in ordine; non c'era molto da fare da quando la crisi dei Fantasmi di Tharsis era stata risolta e la vita sul pianeta era tornata lentamente alla sua normalità.

L'unica differenza era proprio nella Sicurezza, che nell'arco di tre anni era stata trasformata dal suo nuovo comandante in una forza ben strutturata e organizzata; non era ancora stata messa seriamente alla prova, ma la popolazione era ancora ben memore di quanto accaduto solo tre anni prima, e tutti si sentivano ben più sicuri con la protezione della nuova Sicurezza.

Nel corso della sua ispezione, Mason incrociò il nuovo comandante.

«Mason, per fortuna ti ho incrociato.» esclamò. «Devo andare a parlare con il governatore, passa tu a chiudere il mio ufficio. E dovrei aver lasciato acceso il computer, spegnilo.»

«Certo, signor colonnello.» rispose Mason, girandosi e tornando sui suoi passi.

L'ufficio del comandante era rimasto pressoché invariato dai tempi del capitano Gerard: le uniche due differenze erano la targhetta, che adesso recitava "Cln. L. Faraday", e una foto della famiglia del colonnello.

Mason spense il computer come gli era stato ordinato, e guardò fugacemente la foto: riconobbe la figlia del colonnello, ma non la donna che era con loro, che immaginò potesse essere la moglie di Faraday: non sapeva cosa le fosse successo, perché il colonnello era una persona molto riservata e non parlava mai con i suoi uomini della sua vita al di fuori del lavoro; non lo si vedeva mai nemmeno con nessuno, se non con la figlia e occasionalmente con una misteriosa donna asiatica dai capelli corvini.



Qualche giorno più tardi



Elise accese l'oloproiettore, e aspettò che suo padre rispondesse. Dopo pochi secondi, l'immagine di Logan le si materializzò davanti.

«Hai cambiato di nuovo colore.» constatò Logan con un sorriso.

«Come ti sembrano?» chiese lei, lisciandosi una ciocca viola.

«Il giorno in cui li lascerai tornare naturali, per me sarà un giorno felice.» sentenziò lui.

Elise ridacchio. «È bello rivedere anche te, papà.» disse.

«Come va il lavoro a Olimpia?»

«Bene: abbiamo iniziato a costruire la base dell'ascensore, e credo abbiano deciso di usare i resti di Phobos come contrappeso. Portarlo in orbita geostazionaria però potrebbe essere difficile.»

«Se qualche pazzo armato di testare nucleari prova a deviarlo, sai chi chiamare.» scherzò Logan.

«Senz'altro.» rispose Elise sorridendo.

«Comunque, sono felice che il tuo lavoro ti piaccia.»

«Oh sì, Olimpia è un posto incredibile.» esclamò Elise. «Dovresti vedere gli esperimenti che stanno facendo con i motori ad antimateria.»

«Motori ad antimateria?» chiese Logan.

«Io non ho ti detto nulla.» replicò Elise portandosi un dito davanti alle labbra con aria complice. «Dimmi piuttosto, come sta Mei?»

«Mi sembra sempre spaesata: non credo abbia ancora capito quale possa essere il suo posto qui.»

«Si ambienterà, ne sono certa. E comunque, quand'è che inizierete a uscire insieme?»

Logan non rispose, alzando vistosamente gli occhi al cielo e sbuffando.

«Suvvia, anche tu devi ammettere che sareste perfetti insieme: e poi mi ha salvato la vita, il minimo che tu possa fare per lei è una bella...»

«Elise! Non intendo discutere di questo con te!»

«Va bene, va bene.» esclamò Elise ridendo. «Oh, a proposito, dimenticavo di dirti che una settimana fa è arrivato il nuovo ufficiale responsabile della sicurezza per l'ascensore: un giovane e affascinante tenente, appena uscito dall'Accademia, che credo tu abbia già incontrato.»

«Mia Haywood?» chiese Logan.

«Esatto.»

«Ti trovi bene a lavorare con lei?»

«Oh sì, è fantastica, cerca sempre di non stare fra i piedi a noi ingegneri e di farci lavorare in tranquillità: averla come responsabile è un vero piacere, non come quel brutto ceffo che i servizi segreti ci avevano appioppato alla Artemis.» scherzò Elise.

Logan rise. «Sono contento che tu stia bene, Elise. Devo andare, ma ci sentiamo presto.»

«A presto, papà.» confermò lei, e interruppe la comunicazione.

Uscendo dalla stanza dell'oloproiettore, Elise si affacciò alla finestra del suo appartamento, che dava una visione panoramica sul cantiere dell'ascensore spaziale in costruzione; proprio in quel momento, Phobos stava transitando nel cielo sopra Olimpia.

Elise guardò il cantiere e il piccolo satellite con un sorriso; stava costruendo il futuro di Marte, ed era una sensazione magnifica.



Contemporaneamente

Costa del Bacino di Aurora



Mei passeggiava lungo una spiaggia pietrosa, poco distante da Nuova Roma. Era piena estate e la temperatura era abbastanza gradevole; alcuni cittadini a cui non dispiaceva la fredda acqua del Flusso di Romolo erano a bagno poco distante da lei.

Camminò fino a raggiungere un promontorio isolato, e si sedette su una delle grosse rocce su cui si andavano a infrangere le onde.

Quel giorno era il quarto anniversario del suo arrivo su Marte: ormai il Pianeta Rosso era diventato a tutti gli effetti la sua seconda casa.

Per tutto questo tempo, aveva continuato a tenersi informata su cosa stesse succedendo in Cina, e finalmente pochi giorni prima aveva appreso che suo padre non era riuscito a farsi rieleggere; Mei chiuse gli occhi e sorrise, immaginando la sua frustrazione nel vedere i suoi piani andare in fumo senza poter fare nulla a riguardo.

Una vibrazione sul telefono la riportò alla realtà: era Elise Faraday.

Non era dell'umore giusto per parlarle: spense il telefono e si ripropose di richiamarla più tardi, sperando che non stesse di nuovo cercando di combinare qualcosa fra lei e Logan.

Sospirò amareggiata: era sicura che, se i due avessero saputo l'intera verità su ciò che era successo a Olimpia, sarebbero stati decisamente meno amichevoli nei suoi confronti.

Sarebbe stato meglio lasciare Nuova Roma, e andare da qualsiasi altra parte sul pianeta, eppure per qualche motivo non riusciva ancora a tagliare l'ultimo flebile legame con la sua vecchia vita.

Era libera ormai da tre anni: libera dall'ingombrante influenza di Deng, e dal lavoro che le aveva sempre impedito di avere una vita normale; eppure questa libertà era accompagnata da un inaspettato senso di disorientamento. Fino a quel momento, la sua vita era stata attentamente pianificata giorno per giorno, mentre ora aveva davanti a sé un infinito mare di possibilità: avrebbe dovuto sentirsi ottimista, ma si sentiva solo confusa. Chi sarebbe diventata, ora che era libera di essere chi voleva?

Con un sospiro, si alzò dalla roccia e si incamminò verso Nuova Roma: solo il tempo le avrebbe dato una risposta.

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