Paura

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Si maledisse, mentre correva su un tetto, pronto a fare il salto più lungo che avesse mai tentato. Si maledisse per non aver avuto neanche un briciolo di coraggio in più, si maledisse perché sapeva che sarebbe stato come una dolorosa spina che doveva essere tolta. Era così, cose del genere o le fai subito esorcizzando la paura, o te le porti dentro per anni.
Se non aveva avuto il coraggio quella sera probabilmente non lo avrebbe trovato mai più.
Si ricordò della madre, mentre era in aria, di quando da bambino era corso incontro a delle onde, sulla riva, e cadendo a faccia avanti aveva avuto paura, fortuna che le mani pronte di Emilie lo avevano sollevato subito.
Non voleva saperne di rientrare in acqua, era fuori discussione, i pianti disperati avevano svegliato anche un signore più anziano poco più indietro sul bagnasciuga. La signora Agreste lo aveva preso in braccio, stringendoselo forte al petto, e sussurrò quella che per lui solo ora era una verità, all'epoca solo l'ennesimo insegnamento saggio di sua madre: le paure vanno affrontate subito, perché va bene aver paura ma solo per tirare fuori il nostro coraggio.
Ed era vero, riguardando la sua vita quell'insegnamento che avrebbe dovuto custodire con cura in realtà lo aveva deliberatamente messo in un angolo e tutta la sua esistenza era piena di paure che si erano radicate, perché il coraggio lui non lo aveva tirato fuori mai.
Quante volte la paura delle reazioni del padre gli aveva impedito di vivere come un normale adolescente?
Nei ricordi acquisiti dopo la trasformazione rivedeva quell'Adrien che avrebbe sempre voluto essere, spavaldo, forte, coraggioso, pronto a soffrire per amore. Non aveva avuto paura a consegnare il suo cuore in mano a ladybug o a Marinette, nonostante il dolore.
Tornò nel suo rifugio, parzialmente buio, qualche lampione sulla strada concedeva al gatto nero qualche sprazzo di luce, ed anche la luna, dai buchi sul soffitto, regalava qualche raggio pallido.

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Erano giorni che, con l'aiuto di Sass, scandagliava le vie di Parigi, soprattutto le più periferiche e nascoste, alla ricerca di una bionda chioma famigliare, probabilmente con due orecchie da gatto che svettavano in cima alla testa.
Sembrava dissolto nel nulla, nemmeno una traccia aveva lasciato scomparendo.
Si chiedeva spesso, durante le sue ricerche, se sarebbe mai stato davvero in grado di mantenere la promessa fatta a Marinette.
L'andava a trovare spesso ormai, sia con gli altri e le altre sia da solo, passava ore ad ascoltare le sue preoccupazioni e ad asciugarle le lacrime.
Quella sera non sarebbe stata diversa, sarebbe andato da lei, prima di trasformarsi e riprendere la sua missione.
La madre di Marinette l'aveva accolto calorosamente come ogni volta, con il sorriso dolce che ricordava molto quello della figlia e l'espressione di gratitudine che gli rivolgeva sempre per non lasciare Marí sola in queste settimane di sconforto.
Salì ormai da solo verso la camera della ragazza, bussò per annunciarsi ed aspettò il via libera dalla voce spenta.
Sapeva come l'avrebbe trovata, ormai era prassi solita arrivare e vederla rannicchiata su quella specie di divano, una coperta sulle gambe e il volto contrito in una smorfia di tristezza. Era diventato quasi un incubo andarla a trovare, quella vista diventava sempre più insopportabile ai suoi occhi innamorati.
Come ogni sera le si avvicinò, si posizionò seduto affianco a lei e poggiò la mano su di un ginocchio piegato, lo strinse in segno di conforto, lei alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono, lui le sorrise ma lei non ricambiò.
Oggi sembrava più abbattuta del solito.
<< Marí, almeno un sorriso fammelo.>> La punzecchiò cercando di avere una qualsiasi reazione.
<< Mi dispiace Luka, ma ho...avrei...>> Si nascose il volto tra le mani e soffocò un verso di frustrazione.
C'era qualcosa che voleva dirgli?
<< Marinette con me puoi parlare, lo sai. Cos'è che ti tormenta così?>> Gli si fece più vicino e cercò di catturare di nuovo il suo sguardo, inutilmente.
Marinette guardava a terra, il labbro inferiore stretto nervosamente tra i denti. Si chiedeva se davvero potesse aprirsi totalmente con il ragazzo, dato che sapeva poteva prenderla per pazza nel sentire il suo racconto. Poteva rischiare tanto?
Forse si. Si fidava ciecamente di Luka e lui non l'avrebbe giudicata mai, piuttosto avrebbe cercato di capire l'incomprensibile.
<< La sera...la sera della scomparsa di Adrien...io...ho visto una...cosa.>>
Luka aggrottò le sopracciglia guardando la ragazza con aria interrogativa. Se voleva essere aiutata doveva spiegarsi molto meglio di così.
<< Cos'hai visto?>> La incoraggiò a continuare.
Lei sembrò combattuta, mise palesemente in dubbio la scelta che aveva preso poco prima.
Ma a chi poteva dirlo se non a lui?
<< Sul tetto della mia camera, c'era qualcuno...ma non era una persona normale come me o te...aveva orecchie e artigli...e una coda!>>
Al ragazzo venne spontaneo alzare le sopracciglia e schiudere la bocca nell'esatto istante in cui pensò che per giorni aveva girato tutta Parigi alla ricerca di una simile figura e questa si era presentata proprio qui, dove lui si trovava ogni sera, il giorno stesso della scomparsa di Adrien Agreste. Doveva essere per forza lui, pensava, era come Sass gli avrebbe detto che sarebbe diventato.
<< Non mi credi vero?>> Lo sguardo della mora si fece triste.
Come poteva dirle che sapeva potesse esistere una simile creatura e che, con molta probabilità, era proprio il suo ragazzo, ma tenerla comunque all'oscuro di tutto?
<< Credi sia collegato con Adrien?>> Chiese solamente.
<< E se fosse la...cosa che gli ha fatto del male?>>
Da quella domanda capí come aveva reagito lei a quella visione. Forse spaventata com'era aveva cacciato in malo modo via quella che chiamava "cosa".
Quel ragazzo era andato a cercare conforto nella ragazza che amava e si era ritrovato una porta in faccia. Doveva avergli fatto molto male.
<< Non possiamo esserne sicuri, devi stare molto attenta e se riaccade dimmelo subito, chiaro?>>

La Dea Bendata: Il Gatto Nero.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora