Annuire è meglio di niente

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Fece come gli aveva suggerito l'amico, lo fece un paio di volte, restando nascosto nell'oscurità, dietro i comignoli dei tetti cittadini.
Quelle volte si sentiva come chi andava in guerra, con il fiato corto, il timore di non avere mai abbastanza tempo, la paura di farsi scoprire e di morire ancora nel vedere quello sguardo impaurito.
Ma sarebbe finita presto, glielo aveva assicurato Luka, una notte di queste lo avrebbe portato dal maestro Fu, lui sicuramente sapeva cosa fare.
Ma per quella ennesima notte no, non era finita, le sue sembianze erano ancora quelle che ricordavano l'ombra vaga di un eroe un tempo amato dai Parigini e dove avrebbe potuto cercare conforto se non su di una terrazza? La sua.
Prese nuovamente a correre tra vicoli e tetti, facendo anche rizzare il pelo a qualche gatto.
Le tegole delle coperture spioventi sotto i raggi pallidi della luna, celata dalle nubi, creavano un'atmosfera simile ad un dipinto che aveva ammirato in uno dei suoi viaggi di lavoro con il padre. Non sapeva collocare però quel ricordo a Edimburgo, non sapeva se quel quadro di Monet lo aveva visto prima di morire.
Certo, in quel dipinto c'era il mare, le imbarcazioni e la paura di non toccare mai la terra ferma, ma le nubi erano simili e il tormento che suscitava era lo stesso che lui si sentiva crescere dentro ogni notte.
Più si avvicinava a quell'abitazione e più il peso di ciò che stava affrontando gravava sulle sue spalle, ma non sapeva dire se quel dolore fosse per amore o per la situazione che lo aveva risucchiato portandolo via da quella vita che era sempre stato abituato a dire "sua", senza sapere quanto in realtà non gli appartenesse.
Chi era lui? Quello di adesso o il ragazzo che aveva sfiorato la morte?
Cos'era?
Chi sarebbe stato?
Cosa sarebbe diventato lui?
Sarebbe rimasto un mostro? Ma poi, lo era davvero?
Agli occhi di chi sarebbe mai risultato un ragazzo normale?
Inadeguato. Inadatto.
La sua immagine non era come ci si aspetta dovrebbe essere quella di un adolescente, lui non era più quel normale ragazzo, perfetto agli occhi del mondo. I suoi capelli erano biondi e i suoi occhi erano rimasti verdi, ma lui non era lui.
Un mostro.
Perché si chiamava mostro? Non aveva fatto nulla per essere etichettato come tale. Solo non era più nella stessa pelle.
Si arrestò alla vista della terrazza vuota e dalle luci spente.
Poteva fare così male?
Lui era sempre lo stesso, non c'era nulla di diverso in lui, aveva cambiato pelle ma lui era sempre lui.
Poi d'un tratto la realizzazione della verità lo costrinse a fermarsi e a portarsi una mano sul cuore palpitante.
Lui non era più lo stesso, ma era sempre lui.
Era un'altra persona, ma allo stesso tempo era la stessa.
Quello che stava vivendo, quello che aveva vissuto, semplicemente lo avevano cambiato, ma era sempre lui.
Era una forma diversa di se stesso e questo non significava essere un' altra cosa.
Era sempre stato lui, nell'altra vita, in quella dove aveva Marinette come ragazza e in questa con la tutina nera e la difficoltà nel parlare.
Quindi, essendo sempre se stesso, chi era il mostro?
L'eroe? No, lui era benvoluto per via delle sue gesta e della sua simpatia.
L'adolescente? No, tra chi lo ammirava e chi lo invidiava c'era davvero poca gente che lo conosceva davvero e comunque il suo aspetto non lo avrebbe mai fatto essere "il mostro".
Ciò che era adesso? Ma adesso era sempre quell'adolescente dai capelli biondi e gli occhi verdi ed era anche colui che aveva indossato i panni dell'eroe.
Ma nella realtà dei fatti, per chiunque, perfino per la sua amata, mostro era colui che non si riusciva a capire, qualcosa a cui non sai come avvicinarti, come conoscere.
Mostro è una persona che non sa spiegarsi, che come nel suo caso non ha parola, perché mostro non lo era stato mai con le stesse sembianze ma con il dono della spigliatezza.
Ed era davvero solo l'amore a fare così male?
O il non essere capito?
Amare può far male, amando ci si ferisce. È doloroso avvolte, lo sapeva, sapeva anche potesse essere difficile, ma era davvero la cosa che gli faceva più male?
Forse a fare più male era stato lo sguardo di paura, lo sguardo che lo aveva fatto sentire davvero un mostro e si forse c'entrava l'amore o forse quello sguardo avrebbe fatto male a prescindere ma da lei un po' di più e forse non era solo per amore, forse perché lui in lei aveva racchiuso se stesso e se lei non lo riconosceva allora lui chi era?
Da sempre lui si riconosceva nel riflesso di quegli occhi.
Sempre lui aveva creduto lei non lo avrebbe mai potuto guardare con un tale sguardo...invece era accaduto.
Quindi cosa faceva male? L'amore o il terrore di perdersi e non riconoscersi?
Era stato giusto conoscersi solo attraverso lei? Infondo ecco a cosa aveva portato.
Lei non lo riconosceva, lui perdeva se stesso.
Ma guardare il suo riflesso in quegli occhi era l'unica cosa che lo faceva sentire vivo.
Si fermò nuovamente proprio sopra il suo tetto, chiedendosi se fosse giusto rivederla, ma sta volta per se stesso.
Andava bene rischiare di nuovo quello sguardo?
Forse doveva accontentarsi di una fotografia, una in cui il tempo era fermo, dove i loro occhi avevano il riflesso giusto. Uno in cui i loro cuori non erano impauriti e non si erano mai spezzati.
Deglutì e si tirò uno schiaffo con la mano guantata.
Ma che razza di idiota stava diventando?
Poteva essere chiunque, ma mai qualcuno che non avrebbe voluto vedere lei.
Scese silenzioso fino ad affacciarsi alla botola sopra il letto della ragazza, iniziò a perlustrare la stanza buia, senza alcun problema data la sua abilità di gatto, ma non riusciva a vederla da nessuna parte.
Poi, grazie al suo udito sviluppato, riuscì a sentire delle voci sulla strada, voci che conosceva bene.
Era lei, insieme a Luka.
Ormai vedeva in lui un importante amico, ma ciò non gli impedì di aggrottare le sopracciglia in segno di sdegno e serrare i pugni.
Sapeva che nonostante l'aiuto che gli stava dando, quel ragazzo era ancora innamorato della sua Marinette.
Li vide salutarsi davanti al portone della casa, con un forte e profondo abbraccio e vide anche l'indugio nei gesti di Luka, la voglia di stringerla di più, per un tempo più lungo, con un'intensità diversa.
Infondo lo capiva benissimo, come poteva arrabbiarsi con lui?
Decise di aspettare paziente la ragazza e si sedette sul bordo del tetto.
Passarono diversi minuti prima di dover assistere alla luce che si accendeva illuminando la terrazza, ma quando successe il suo cuore iniziò a fremere come mai prima all'idea di vederla, di cancellare il tocco dell'altro dalla sua pelle sostituendolo con il proprio.
Purtroppo riuscì solo a mettersi in piedi, ogni movimento fu impedito dalla ragione.
Tutti quei discorsi sull'essere semplicemente se stesso gli avevano tolto dalla memoria quale aspetto avesse ora e che il suo abbraccio non avrebbe potuto cancellare quello avuto poco prima.
Scosse la testa, una voce dentro di lui si faceva spazio, ripeteva "perché non tentare?".
Non sapeva come farla tacere, se non dandole retta.
E lei ora era difronte a lui, occhi sbarrati, sorpresa e impaurita, con le mani al petto e le gambe tremanti.
Era un'immagine dolorosa, ma doveva capire se lei poteva scrutare oltre ciò che era e ritrovarlo.
Faceva totalmente affidamento sul suo amore.
Istintivamente face il cenno di allungare il braccio verso di lei, come a poterla toccare, come un poeta cerca di arrivare alla sua musa, ricevette solo un balzo indietro da parte della ragazza impaurita.
Di fronte a lei, in quel preciso momento, era diventato tremendamente arduo per lui ritrovare la voce. Muoveva le labbra, apriva la bocca come per dire qualcosa ma non ne usciva neanche un suono.
Ma sbuffò, gli venne naturale, sbuffò frustrato, le braccia caddero sbattendo sonoramente i palmi sulle cosce, la testa gettata all'indietro, così da non poter vedere la reazione di Marinette a quel gesto.
Non poté vedere l'espressione della sorpresa che prendeva il posto della paura, gli occhi socchiusi farsi spalancati e poi accigliati per il dubbio.
Non poté vederla inclinare la testa come era solita fare quando osservava qualcosa da voler capire, ma poté udirla abbozzare una risatina, come se avesse trattenuto il fiato troppo a lungo.
Di corsa tornò a guardarla, con i grandi occhi verdi stupiti.
Miliardi di stelle non reggevano il confronto con cioè che lei gli stava mostrando.
Non era impaurita, lo guardava ora.
Lo stava davvero guardando.
Deglutì a fatica per colpa dell'arsura che la tensione gli aveva lasciato nella gola.
Aprì nuovamente la bocca e nuovamente non ne uscì nulla.
<< Vuoi...parlare?>>
Stentava persino a credere di aver sentito davvero quelle parole, quella voce.
Se l'era immaginata talmente tante volte che sentirla sembrava irreale.
Era davvero lei ad avergli rivolto parola in modo così dolce?
Peccato l'incertezza ingombrante nel tono.
Non riuscì nemmeno più a tenere chiusa la bocca, era totalmente imbambolato.
Sicuramente lei si sarebbe sentita a disagio nell'essere guardata così insistentemente, doveva smetterla di comportarsi da stupido.
Riuscì ad annuire, ritenendola una vittoria comunque.
<< Mi capisci...?>>
Annuì di nuovo.
<< Sai parlare?>>
Istintivamente annuì ancora.
<< Chi sei?>>
Pensò subito di essere un cretino, aveva annuito affermando di saper parlare ma non riusciva a pronunciare neanche una sillaba. Tutti gli sforzi fatti con Luka erano andati in fumo, come se non ci fossero mai stati progressi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 11, 2023 ⏰

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