14.

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*H*

Separarmi da lui e passare il resto della giornata senza scrivergli si rivelò più difficile del previsto.
Per tutta la mattina non avevo fatto altro che ripensare ai momenti passati insieme. Soprattutto gli ultimi.
Louis mi aveva portato in una pasticceria a pochi minuti da casa mia. Avevamo fatto colazione rubandoci a vicenda pezzi di muffin e battibeccando su chi avesse preso la porzione più grossa. A nulla erano valse quelle che Louis riteneva essere evidenze della mia ingordigia, io avevo smentito con fermezza ogni accusa. Capendo che l'unico modo per placare le sue lamentele fosse tenergli la bocca occupata, gli avevo dapprima offerto una fetta di torta, poi avevo preso a baciarlo senza sosta. E a quel punto le proteste erano cessate.
Due minuti dopo l'inizio della prima lezione stavo già combattendo contro me stesso per non cedere alla voglia di scrivergli un messaggio. Ma avevo così paura di spaventarlo con la mia presenza costante che alla fine avevo abbandonato l'idea e mi ero ripromesso di concentrarmi solo sulle lezioni. Come ogni buon proposito che si rispetti, l'avevo infranto pochi istanti dopo averlo formulato. Non prestai attenzione a una singola parola pronunciata dal professor Edwards e venni richiamato più volte da Maggie, la mia tutor per il tirocinio che stavo svolgendo da poche settimane presso un centro specializzato in disturbi comportamentali e mentali.
Provato dall'inevitabile discussione avuta con Niall e impaziente di rivedere Louis anche solo per un secondo, mi precipitai da lui subito dopo cena.
Seduto sui gradini di casa sua, attesi che rientrasse. Mi aveva spiegato che teneva corsi in varie palestre di Londra e la sera non riusciva a tornare prima delle dieci. Tranne il venerdì, giorno in cui staccava alle sette.
Ero lì da dodici minuti e sapevo che come minimo ne sarebbero passati altrettanti prima di scorgere la sua sagoma in fondo alla via.
Era la settima volta che controllavo il cellulare alla ricerca di un suo messaggio e la vocina nella mia testa che mi ripeteva che non voleva più avere niente a che fare con me stava diventando troppo insistente. Fu allora che il telefono prese a vibrarmi tra le mani. Nella fretta di avviare la chiamata, per poco non lo feci cadere. «Louis?»
Non so perché mi uscì come una domanda. Sapevo che era lui, avevo memorizzato il suo numero e avevo fatto squillare il suo telefono per fargli visualizzare il mio.
«Harry» pronunciò lui in un sospiro, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
«Ciao» sorrisi alla mia ombra lungo il vialetto.
Un pesce lesso, ecco cos'ero. Non ero più in grado di parlare né di sviluppare un pensiero che avesse un inizio e una fine.
Restammo in silenzio, ad ascoltare i nostri respiri, finché non tornai a parlare. «Com'è andata la tua giornata?»
Mi hai mai pensato, Lou? Perso tra le tue mille attività quotidiane, ti sono mai venuto in mente?
«Questo lunedì è stato particolarmente faticoso ma è finito. Non vedo l'ora di arrivare a casa».
«Manca ancora molto?»
«No, sono uscito dalla metro poco fa».
Silenzio di nuovo.
Era strano, trattenuto. Si muoveva con cautela. Era sulla difensiva, si aspettava di essere colpito o stava per sferrare un attacco ed ero io a dovermi preparare?
«Louis, che c'è?» chiesi preoccupato.
Lo sentii prendere un grande respiro.
Ecco, sta per arrivare lo schiaffo.
«Niente, io...»
«Lou» rantolai rannicchiandomi sul primo gradino di casa sua come il patetico idiota che sapevo di essere. «Parla».
«Ok, senti io... so che tutta questa storia è assurda e inaspettata e non voglio che tu ti senta in dovere nei miei confronti, cioè non... non devi per forza avere a che fare con me. Io posso... capirei se volessi prendere le distanze. Davvero, non ti giudicherei né ti biasimerei».
«Cosa? Di che stai parlando?»
«Sì, ecco, puoi dirmelo se preferisci che io faccia un passo ind... Harry?»
Alzai la testa e scattai in piedi quando lo vidi davanti al cancelletto d'ingresso, il telefono ancora stretto tra la mano e l'orecchio.
«Da quanto tempo sei qui?»
Il tono remissivo di poco prima sembrava essere scomparso.
«Un po'» alzai le spalle rimettendo il cellulare in tasca. «Volevo augurarti buonanotte».
Un secondo dopo me lo ritrovai tra le braccia, il borsone che prima penzolava dalla sua spalla abbandonato qualche passo più indietro, i suoi capelli a solleticarmi le narici. Gli scostai il viso dal mio collo e accarezzandogli una guancia lo sentii sussultare e trattenere a stento un gemito di dolore. Lo feci voltare in modo che la luce del lampione dall'altra parte della strada gli illuminasse l'intero volto e lo trovai con uno zigomo gonfio attraversato da tre segni rossi, definiti quasi fossero disegnati a matita.
«Cosa è successo?»
Gli scostai piano i capelli, attento a non toccargli i graffi ancora freschi.
«Mai cercare di separare una ragazza dal suo fidanzato mentre, tra una spinta e un'altra, gli urla di essere uno stronzo che guarda il culo di tutte le ragazze della palestra, soprattutto se questa ha le unghie più affilate di Wolverine».
Non trattenni una risatina. «Ed è solo lunedì. Confido che per venerdì tu venga coinvolto in almeno uno scontro tra ninja e una guerra aliena».
Sorrise e quasi dimenticai come si respira.
«Allora non guardi solo film d'animazione».
«Cartoni e film d'amore» scherzai, continuando a passare le dita tra le sue ciocche. Avrei potuto trascorrere l'intera notte ad accarezzarlo e a studiare ogni forma e sfumatura del suo viso, ma la realtà fuori dalla nostra bolla richiedeva la mia attenzione. «Ok, mettiamo del ghiaccio su questa guancia e poi vado, altrimenti perdo l'ultima corsa della metro».
Mi aggirò senza dire nulla e con un movimento rapido aprì il portone attendendo che entrassi per richiuderlo alle mie spalle.
«Ehi Lou, ti aspettavo per scegliere il f... Harry, ciao». Liam, steso sul divano con un pacchetto di patatine in una mano e il telecomando nell'altra, non sembrava troppo sorpreso di trovarmi lì alle dieci di sera. Ricambiai il saluto con la mano e un sorriso.
Louis passandogli accanto allungò il braccio per rubargli qualche patatina.
«No» lo scansò l'amico, «sai come va a finire se ti metti a ma... Cos'hai fatto alla faccia?».
Louis sbuffò. «Niente» disse prima di lanciarsi di nuovo all'attacco del sacchetto.
Liam lo allontanò giusto in tempo. «Harry, puoi dirgli anche tu che cenare con un pacco di patatine non fa bene neanche se fai molta attività fisica ogni giorno?»
«Non hai cenato?» chiesi in tono di rimprovero.
Louis alzò gli occhi al cielo. «Ho fatto uno spuntino abbondante oggi pomeriggio e mangiato un paio di barrette proteiche in metro».
Ora che eravamo in un ambiente ben illuminato, notai che lo zigomo stava tendendo a un colore violaceo e il gonfiore era peggio di quanto mi era sembrato.
Lo trascinai nella zona cucina e aprii il freezer. Non trovai nessuna traccia di ghiaccio così ripiegai su un pacco di spinaci.
«Scordatelo, quelli non li mangio».
«Certo che no, non metterei mai a repentaglio la tua salute facendoti assumere troppe vitamine».
Ignorai il suo grugnito, avvolsi un panno intorno alla busta e gliela avvicinai alla ferita.
Lui mise il broncio. «Non ce n'è biso—»
«Metti a freno quella lingua o dovrò farlo io e non sono sicuro che il tuo amico apprezzerebbe» lo rimproverai sottovoce. Forse non abbastanza da non farmi sentire da Liam che cominciò a ridacchiare, ma non gli prestai attenzione.
Passai in rassegna tutti i ripiani del frigo alla ricerca di qualcosa di nutriente e leggero da far mangiare al bimbo capriccioso dietro di me. L'ideale sarebbe stato del pesce con verdure o del pane integrale con un formaggio magro. Ma, come mi aspettavo, non c'era nulla del genere e, visto che Louis non era completamente a digiuno, optai per il barattolino di yogurt semi-nascosto dietro ketchup e salsa bbq e una banana.
Presi una ciotola dal pensile sopra il piano cottura e un cucchiaio dal primo cassetto del bancone. Versai lo yogurt e aggiunsi la banana tagliata a pezzetti. Mescolai e spolverai con un po' di cannella. Sospettavo che il portaspezie super rifornito fosse più un pezzo d'arredo che un oggetto a uso quotidiano e trovai gratificante sapere che almeno per una volta avrebbe assolto al suo compito.
Porsi la scodella a Louis ma lui restò immobile, le labbra schiacciate l'una contro l'altra come sul punto di lasciarsi scappare qualcosa. Non riuscivo a interpretare il suo sguardo, sembrava cercarmi, aspettare che dicessi o facessi qualcosa.
«Andiamo di sopra» disse infine in un sussurro.
«No, Louis. Devo essere fuori di qui entro venti minuti per non perdere l'ultima corsa».
Mi guardò di nuovo in quel modo. Mi supplicava in silenzio.
«Vuoi che mangi questa sbobba? Vieni di sopra con me» insistette sfilandomi la ciotola di mano.
«Tranquillo piccolo Lou, puoi farti imboccare anche qui davanti a me, non sarebbe la prima volta» lo sfotté Liam prima di scoppiare a ridere.
Louis lo salutò con il dito medio mentre usciva dalla stanza e si dirigeva alle scale. Io ovviamente lo seguii senza controbattere.
«È un'altra delle mie storie imbarazzanti» spiegò mentre salivamo. «Ho già il primo round assicurato per la prossima partita di 'Non ho mai'».
Sentii le guance tirarmi in un sorriso. «Prossima partita, eh? Forse dovrei tornare giù e farmi dire da Liam dove tenete le bottiglie di quella vodka che mi piace tanto».
Non riuscii neanche a fingere di voltarmi, la sua mano libera mi circondò il polso e mi trascinò nella sua stanza.
Sedemmo uno di fronte all'altro sulla panca alla finestra come la prima volta.
«Non hai bisogno di farmi bere, ti basta chiedere».
Ecco di nuovo quello sguardo, quello che ti si appiccica addosso e non ne vuole sapere di lasciarti andare.
Strinsi le mani in due pugni per trattenermi dal toccarlo. Non ero certo di essere in grado di fermarmi una volta che l'avessi fatto e volevo che prima mangiasse.
«Mangia».
Per una volta, non fece storie.
Restammo in uno strano silenzio mentre lui ingeriva una cucchiaiata dopo l'altra, lo sguardo puntato al di là del vetro. Finito l'ultimo boccone, raggiunse il comodino dove abbandonò la ciotola, spense la luce e tornò a sedersi davanti a me.
Portò le gambe al petto e le avvolse con le braccia, il mento appoggiato alle ginocchia, lo sguardo basso.
«Cosa devi dirmi Lou?»
Non rispose.
«Boo» aspettai che alzasse gli occhi sui miei. «Al buio è più facile, no?»
«Non mi hai scritto né chiamato, pensavo mi stessi evitando».
«Cosa?» quasi urlai. «No, no, volevo... mi sono obbligato a non contattarti perché mi sembrava di essere già stato fin troppo invadente imponendoti la mia presenza per quasi due giorni. Pensavo che ne avessi abbastanza e avessi bisogno di qualche momento per te».
Scosse la testa e si tirò le maniche lungo i polsi fino a coprire per intero i pollici.
Mi era chiaro da tempo che la sua aria da spaccone fosse solo una facciata di protezione, ma ai miei occhi non era parso così fragile e insicuro nemmeno durante quei dieci giorni di molti anni prima. E non potevo sopportare di esserne io la causa.
Mi piegai verso di lui e gli posai le mani sulle ginocchia. «Ero convinto di averti spaventato e al telefono eri così rigido che ho temuto stessi per mandarmi al diavolo. Cosa che mi avrebbe costretto a nascondermi, per evitare di incrociarti, dietro qualche cespuglio in giardino fino a quando non fossi rientrato in casa o i vicini mi avessero scambiato per un male intenzionato».
Louis ridacchiò.
«Così ti saresti sbarazzato di me una volta per tutte» continuai.
Senza dire niente, Louis prese il suo cellulare dalla tasca centrale della felpa e digitò un messaggio. Il mio cellulare vibrò pochi secondi dopo.
Lo guardai con aria interrogativa e lui mi fece cenno di recuperarlo.
Aprii la chat che aveva appena avviato:

Mentre fuori impazza un temporaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora