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*L*

Conclusa l'esperienza poco soddisfacente con il fumo – dopo i primi due tiri, il ricciolino aveva lasciato che la sigaretta si consumasse da sola fino al filtro – Louis lo invitò in casa per una più rassicurante tazza di tè.
Mentre attendevano che l'acqua bollisse, lo spilungone recuperò il telefono vibrante dalla tasca e rimase a fissare lo schermo con un'espressione severa. Louis seguì con attenzione ogni suo gesto: il sospiro, lo scatto rabbioso con cui rifiutò la chiamata, l'espressione scocciata mentre digitava rapido un messaggio prima di rimettere in tasca il cellulare.
«L'ennesimo ammiratore che non si rassegna?» provò a scherzare.
Louis aveva la sensazione che non si trattasse di questo ma voleva cancellare quel flusso di emozioni negative che stava attraversando il volto del suo ospite e pensò che un po' di leggerezza non avrebbe fatto male.
Lui scosse la testa. «Mia madre».
Dal disappunto che la sua voce e la sua faccia sprigionavano, Louis intuì fosse qualcosa di più di un tipico battibecco tra madre e figlio come gli capitava di avere quasi sempre con la sua. Le principali recriminazioni che gli rivolgeva riguardavano il suo non rispondere mai alle chiamate e il non andare a farle visita con una frequenza ritenuta da lei accettabile. In questo caso doveva esserci molto di più.
Louis versò il tè bollente in due tazze senza dire una parola. Voleva offrire all'altro la possibilità di tirarsi indietro e cambiare argomento. Questa era la scusa ufficiale. In realtà, avrebbe voluto proporsi come amichevole-ascoltatore/metaforico-sacco-da-boxe contro cui sfogarsi ma non credeva di avere nessun diritto di avanzare una simile richiesta.
«Mi ha tenuto nascosta una cosa per quindici anni» gli rivelò prendendo la tazza che Louis gli stata porgendo.
«Una cosa del tipo non sono la tua vera madre, sei stato adottato o più tipo il criceto che avevi da bambino non è scappato, l'ho inavvertitamente schiacciato io
Riuscì a farlo sorridere e questa gli sembrò già una vittoria.
«Perché ho la sensazione che la storia del criceto non sia del tutto inventata?»
Louis prese un lungo sorso di tè. «Trevor, pesce rosso amato e accudito da me per ben due mesi prima che mia madre facesse cadere l'acquario e senza volere lo risucchiasse con l'aspirapolvere che stava passando in camera mia».
Scoppiò a ridere. «Povero Trevor».
«Già, a nulla sono serviti i soccorsi, non c'era più nulla da fare» raccontò con voce grave e impostata, come il presentatore di un telegiornale che fa un tragico annuncio. «Ho accusato mia madre di pescicidio per mesi. Il tuo che animale era?»
«Nessun animale» ammise sottovoce, lo sguardo piantato a terra.
Nel silenzio, si poteva udire il rumore del telefono che aveva ripreso a vibrargli in tasca. «Forse è meglio che vada».
Lasciò la tazza sul bancone della cucina, intatta, e si diresse all'ingresso.
«Scusa, non volevo essere invadente» disse Louis seguendolo.
«Non lo sei stato».
«Perché te ne stai andando, allora?»
«Ho già approfittato abbastanza della tua ospitalità».
Louis non sopportava di vederlo in quello stato. Lo stava facendo di nuovo, lo stava tagliando fuori come aveva cercato di fare la sera prima quando Louis era riuscito a tenerlo con sé abbracciandolo. Dubitava che un secondo abbraccio sarebbe stato efficace, in quella circostanza serviva qualcosa di più.
«E la tua offerta di prepararmi il pranzo? Prima mi illudi con la promessa del pasto più buono della mia vita e poi te ne vai?»
Incredibile come tutto fosse cambiato in poche ore. Era Louis quello diffidente e chiuso, da avvicinare con la massima cautela per non farlo scappare. Ora, invece, si ritrovava a inseguire uno sconosciuto, a non voler interrompere il loro tempo insieme. L'idea di lasciarlo scivolare via così non era nemmeno contemplabile.
«Non ti ho mai promesso niente del genere. L'ora di pranzo è passata da un pezzo e non avevi detto di non avere niente?» precisò con calma il ricciolino, l'ombra di un sorriso che si affacciava sulle sue guance.
«Ho un intero reparto di surgelati. Puoi fermarti per cena».
Il ragazzo scosse la testa, un chiaro sorriso stampato in volto. Ora che era riuscito a fare breccia nelle sue difese, Louis non voleva dargli tempo di chiudersi nuovamente in se stesso.
«Resta» soffiò a un passo dalla sua bocca, gli occhi che lo supplicavano, le mani sui suoi avanbracci a impedirgli di scappare.
«Io...»
Louis non volle sentire altro. Desiderava assaggiare le sue labbra da quando aveva messo in scena tutto lo spettacolino con la cannuccia. Aveva fatto di tutto per trattenersi, distrarsi, scacciare quella voglia che tornava a riempirgli la pancia ogni volta che posava gli occhi su quel ragazzo. E aveva mentito a se stesso scacciandoli come pensieri fugaci. Il tentativo di bacio della notte precedente, finito prima ancora di poter essere definito tale, non aveva fatto altro che intensificare quell'attrazione. Non aveva più forza di continuare a negarsi quel piacere, poteva e voleva immergercisi e lasciarsi trasportare dalla corrente. Anzi, sperava che lui fosse la corrente, l'abile timoniere capace di evitare la tempesta anche con la sua piccola nave malconcia.
Si allungò sulle punte e lo baciò infilando entrambe le mani tra i suoi ricci. Proprio come si era immaginato fin dall'inizio.
Sentì le mani dell'altro stringergli i fianchi e avvicinarlo al suo bacino mentre il bacio si intensificava.
«Ok, ti darò un assaggio delle mie doti culinarie ma a una condizione...» gli soffiò sulle labbra.
«Quale?»
«Andiamo a fare la spesa».

Mentre fuori impazza un temporaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora