18.

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*L*

A giudicare dall'espressione con cui accolse Louis alla porta, un mix di sorpresa e timore, la madre di Harry non si era accorta dell'auto parcheggiata di fronte a casa sua, né della discussione che l'aveva animata fino a pochi istanti prima.
«Salve, Anne».
«Louis, è successo qualcosa?»
«No, siamo solo passati a fare un saluto».
«Siamo?»
«Harry è in macchina».
Louis si voltò insieme alla donna a osservare la sagoma con le braccia incrociate e lo sguardo fisso di fronte a sé.
«Credo ci vorrà un po' perché si convinca a scendere» continuò perdendo un po' di sicurezza.
«Entra» lo invitò lei con un enorme sorriso.
La casa era calda: tutta parquet, mobili in legno e tappeti ad accogliere e avvolgere gli ospiti come una coperta in inverno.
Decine di versioni più o meno recenti di Harry appese alle pareti o sistemate con cura su tutte le superfici orizzontali lo accompagnarono nel suo tragitto dall'ingresso al salotto adiacente.
«Scusi per l'incursione improvvisa. Avrei dovuto avvertirla prima».
«Non hai nulla di cui scusarti, Louis. E dammi del tu». Gli fece cenno di sedersi sul divano accanto a lei. «Anzi, devo ringraziarti».
«Per cosa?»
«Lo hai riportato a casa, proprio come avevi promesso. Non puoi neanche immaginare cosa significhi per me».
Louis si prese un attimo per analizzare le sue parole. Lei lo aveva capito, quel giorno al telefono, e non seppe perché la cosa lo riempisse di gioia.
«Non è stata una sua idea, io... l'ho portato qui senza che lui lo sapesse, altrimenti non avrebbe mai accettato» abbassò lo sguardo, vergognandosi un po' di quell'ammissione. Detto ad alta voce suonava davvero un pessimo gesto.
«Harry sa essere davvero molto testardo ma la gentilezza e l'empatia sono allo stesso tempo i suoi punti di forza e maggior debolezza. Odia far soffrire le persone di proposito perché poi il senso di colpa lo logora».
«Ne so qualcosa» si lasciò sfuggire sottovoce.
Louis sospirò. Era stata davvero una pessima idea quella di fermarsi a Manchester sulla strada per Doncaster. Non quando aveva annunciato a sua madre e le sue sorelle che sarebbe andato a trovarle dopo mesi di lontananza scatenando entusiasmo e aspettative. Avrebbe dovuto annullare tutto e deludere ancora una volta la sua famiglia. Per non parlare di Harry che non lo avrebbe mai perdonato per averlo ingannato e messo con le spalle al muro.
«L'ho chiamato e gli ho scritto con insistenza soprattutto per evitare che si tormentasse per come mi ha trattato» riprese Anne. «Può fingere quanto vuole ma so che l'idea di avermi procurato dolore lo perseguita da quella sera. Per quanto orgoglioso e testardo possa essere, non tornerà a Londra senza avermi dato la chance di un incontro e perdonerà la tua insistenza» gli rivolse un sorriso rassicurante.
«Ho superato il limite dell'insistenza molto tempo fa. Credo che questo sia il terreno della molestia». Louis sfregò i palmi contro le ginocchia, evitando lo sguardo di Anne. Poi prese a mordicchiarsi un pollice.
«La definirei ostinazione accanita, ma forse era davvero l'unica possibilità. Solo qualcuno più testardo di lui sarebbe riuscito a smuovere le cose». Tutto in lei emanava sicurezza e comprensione. Eppure a Louis sembrava di aver ricevuto solo pugnalate allo stomaco.
«Dio, mi sento un mostro, dovevi vedere la sua faccia quando ha scoperto dov'era. Mi guardava come se si trovasse in gabbia e io godessi della sua paura. Un po' come quando si è risvegliato in quello scantinato e...» non riuscì a terminare.
Sentì la stretta della sua mano sull'avambraccio e una carezza tra i capelli. «No, Louis. Ti assicuro che non è così. Di sicuro lo hai costretto a superare i suoi limiti ma gli hai lasciato la possibilità di scegliere. Può restare lì finché non lo riporterai a casa o andarsene a piedi. La scelta di varcare l'ingresso resta in mano sua».
Sì, non lo aveva sollevato di peso e rinchiuso in una stanza con sua madre, ma aveva ignorato la richiesta di Harry di restarne fuori.
«Voglio cogliere questa occasione per porgerti le mie scuse».
Louis alzò lo sguardo su Anne, confuso. Lei prese un profondo respiro e si sistemò meglio sul divano, come chi sta per lasciarsi andare a una confessione.
«Quello che ha detto Harry è vero: ho gestito davvero male quello che è successo ma per me contava solo fargli ritrovare la serenità. Le cose con suo padre non andavano già da un po' e quel viaggio doveva essere un ultimo tentativo di riavvicinarci, trovare un punto d'incontro, ma quella tragedia ha spezzato ogni più piccola speranza. A quel punto ero sola e la mia priorità, l'unico pensiero, era Harry, la sua incolumità. Non ho prestato attenzione a cosa lo stavo costringendo a sacrificare perché non potevo permettermi di perderlo. Mi era rimasto solo lui. Credevo che la tua perdita di memoria fosse un ostacolo alla sua sicurezza perché saperti vivo non lo avrebbe reso felice se tu non eri grado di riconoscerlo. Così gli ho detto che non ce l'avevi fatta e l'ho tenuto lontano dal resto del mondo assicurandomi di non perderlo mai più di vista. Finché l'intervento del mio ex marito e una lunga terapia mi hanno fatto capire quanto limitata e distorta fosse la mia percezione dell'intera faccenda. Solo che a quel punto erano passati anni e Harry aveva ritrovato il suo equilibrio, non aveva senso stravolgere tutto per scaricarmi la coscienza.
«Poi una notte l'ho sentito agitarsi a letto e sono entrata in camera sua. Ho capito subito che non era sveglio, credo che tu sappia che ha l'abitudine di parlare nel sonno. Gli ho chiesto: 'Tutto a posto, tesoro?' e lui mi ha risposto che non dovevo chiamarlo così perché il suo vero nome era Haz ma solo Louis poteva usarlo. Nessun altro, nemmeno io. Solo Louis. Tu. Pensai che quello che avevo sentito non avesse senso. Lui stava per diplomarsi, aveva degli amici e presto si sarebbe trasferito a Londra per studiare. Ero convinta che avesse superato il passato, che ti avesse dimenticato, invece la verità era lì davanti a me e solo in quel momento mi sono resa conto di cosa avevo fatto, di quanto avevo contribuito a lasciare una cicatrice indelebile nel suo cuore. Sapevo che prima o poi mi sarei lasciata sfuggire la verità, era solo questione di tempo. Mi meraviglio di aver resistito fino al suo ultimo anno di università» ridacchiò sconsolata con lo sguardo fisso sul suo grembo.
«Non era più questione di togliermi un peso dall'anima, ormai mi ero abituata a portarlo con me. Era... ridare a mio figlio un pezzo della sua, riempire quel vuoto che era apparso incolmabile per tutto il tempo. Per questo ti chiedo scusa. Il distacco da lui non deve essere stato facile neanche per te, nonostante non te lo ricordassi. Se gli avessi permesso di incontrarti forse avresti riacquistato la memoria prima, chissà. Di sicuro ti avrebbe fatto sentire meno solo. Se puoi, ti prego di perdonarmi, Louis».
La dolcezza che Anne gli stava riversando addosso anziché lenire le ferite, le riaprì tutte. Di netto, come il taglio di una lama affilata nelle mani di un macellaio esperto.
Louis, che aveva sentito le lacrime accumularsi agli angoli degli occhi, non capì cosa di quel lungo racconto lo avesse rotto di più. Si accorse solo di avere il viso bagnato, il respiro irregolare e il petto che faceva male.
«Io non... l'ho ricordato quasi subito ma... Dio, è tutta colpa mia, avrei dovuto dire la verità ma ero convinto che fosse morto e non potevo...»
Anne lo strinse tra le braccia prima che potesse spiegare e aspettò che si calmasse sussurrandogli che andava tutto bene, che niente era perduto. Non fece una piega quando Louis le raccontò di avere finto di non ricordarsi nulla per non dover rivivere quei momenti giorno dopo giorno. La maschera che si era messo era uno scudo dalle domande incessanti di psicologi e famigliari e, allo stesso tempo, una pena autoinflitta da scontare per non aver salvato il suo amico. Gli era sempre sembrato un giusto compromesso tra costi e benefici e se il senso di colpa aveva continuato a gravargli sulle spalle anche dopo che le domande erano terminate, continuava a pensare di meritarselo.
«Gliel'ho detto, a Harry» disse, la voce arrochita dal pianto, «che dovrebbe essere arrabbiato anche con me. Avrei potuto risparmiare un mare di dolore a tutti se solo non fossi stato così egoista e codardo».
«Nessuno può prevedere o controllare come reagire di fronte a un lutto».
Gli occhi di Louis scattarono in quelli di Anne spalancandosi.
«Per te era questo, Louis. Un lutto» insistette lei. «Avevi perso un amico, l'unica persona che poteva capire cosa avevi passato, quella che ti eri ripromesso di salvare e che pensavi di aver condannato a morte. Nessuno poteva aiutarti perché non volevi essere aiutato. È tempo di perdonare te stesso per tutto questo. Non lo dico solo perché Harry è vivo grazie a te. Se anche non fossi riuscito a farlo uscire da lì, ti spetta il merito di averlo sostenuto, consolato, di essere stato forte per entrambi e di aver provato a dargli una via di fuga».
Louis scosse la testa, sul punto di contraddirla ma lei non glielo permise. «Mi ha raccontato del tuo piano, di come hai fatto da diversivo per dargli un'occasione. Non avevi pensato a come scappare a tua volta dopo la sua fuga, vero? Avresti improvvisato sperando ci fosse uno spiraglio di possibilità anche per te ma la tua salvezza non era l'obiettivo principale». Non era posta come una domanda ma Louis si sentì di dover confermare le sue affermazioni. Ormai quasi privato della capacità di produrre parole, si limitò ad annuire.
«Non credi che questo basti a farti meritare un'assoluzione?»
«La purezza delle mie intenzioni non fa di me un eroe» borbottò.
«Fa di te una persona che è disposta a sacrificare se stessa per gli altri senza pretendere nulla in cambio. La tua bugia ha danneggiato solo te stesso».
«In un mondo in cui Harry non c'era più, forse. Ma in questo mondo...».
«Prenditi le colpe che ti spettano e non quelle degli altri. Chiedi scusa a te stesso per ciò che ti sei inflitto e poi perdonati. In fin dei conti, non è andata così male. Siete entrambi qui, vi siete ritrovati e non avete mai smesso di amarvi. Anzi, ora vi amate più di prima».
Louis sentì la gola farsi secca. Non aveva mai pensato al suo rapporto con Harry in quei termini. In quello scantinato si erano amati in senso fraterno, con l'innocenza dell'infanzia, ma ora? Cosa era rimasto di quei due ragazzini terrorizzati che condividevano la paura di non rivedere più la loro mamma e il calore di un materasso lurido? Quanto di loro si portavano ancora dietro, quanto vedevano l'uno nell'altro?
Non riuscì a ribattere perché dei colpi al portone catturarono l'attenzione di entrambi.

Mentre fuori impazza un temporaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora