Special K

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Sul tavolo in vetro del piccolo salotto ci sono una stecca di sigarette – Lucky Strike Rosse – e uno zippo graffiato, che riflette la flebile luce del caravan sulla superficie specchiata. Un velo di polvere sottile, come se nessuno pulisse da chissà quanto tempo, copre ogni cosa. A tratti, i pulviscoli danzano nell'aria umida della sera, perfettamente visibili sotto il led che segnala l'inizio della zona cucina. Una mosca sbatte nervosamente contro la luce, incapace di trovare una via d'uscita, attratta da quell'unica fonte di calore.

Una topaia. Il genere di posto in cui sua madre, la signora Cunningham, non metterebbe piede nemmeno sotto tortura. Si lamenterebbe dei tappeti dozzinali, delle abat-jour scadenti, delle tracce di pioggia lasciate sul vetro della finestra, incrostata come se fosse scesa dal cielo la sabbia e non l'acqua.

Eppure a Chrissy, per qualche strano motivo, quel piccolo e angusto spazio piace. Neanche lei capisce bene perché; forse sono i libri e le riviste accatastati in un angolo, o forse l'idea che tutto quel disordine appartenga a qualcuno. Che ci sia della vita vissuta e non apparente, fatta di carne e ossa, di oggetti vissuti, di discussioni ma anche di piccoli momenti di condivisione, progetti personali, sogni. Non una vita di vetro, da ballerina di carillon: perfetta, laddove batte la luce, priva di apparenti zone d'ombra e allo stesso tempo fragilissima, appesa a un filo. Una vita da dove è semplice cadere giù, dal palco o da qualsiasi linea immaginaria tra la perfezione e la realtà.

Una vita proprio come la sua.

- Trovata! La pace dei sensi arriverà in un attimo.

Quando Eddie Munson sbuca fuori dal corridoio, sventolandole in faccia la bustina di Special K, le viene automatico sorridere.

È l'effetto che le fa lui. Che non sapeva le facesse prima di parlarci, nel pomeriggio. Scoprirlo così vulcanico, così leggero l'ha resa in qualche modo riconoscente.

Perché ha bisogno di leggerezza.

Per sfuggire dallo spavento che sente.

Dalla sensazione di panico che le prende certe volte, dal terrore che ha quando si avvicina alla bilancia o mette una gonna o si siede a tavola, sapendo che il suo cervello comincerà in automatico a contare le calorie, che poi dovrà alzarsi, correre in bagno e chiudersi dentro.

Una volta Michael, suo fratello minore, l'ha beccata a vomitare, ma senza capire la sottigliezza del suo malessere, la sfumatura oscura del suo cervello: piuttosto l'ha presa in giro, accusandola di essere incinta di Jason. È stata sua madre, come sempre, a metterlo a tacere. A dirgli: non dire sciocchezze. Chrissy non è stupida, non farebbe mai qualcosa per mettere a repentaglio la sua reputazione o quella della nostra famiglia.

O sì?

Ci pensa proprio ora, mentre prende in mano la bustina e allunga le banconote a Eddie.

Un momento di trasgressione, solo questo. Si è voluta concedere un attimo. Quando l'ansia ha cominciato a premere troppo forte, quando la paura le ha impedito di respirare, l'unica idea che le è venuta è stata quella di trovare una via di fuga non congeniale. Nulla a che vedere con la psicologa della scuola o gli allenamenti di cheerleading.

- Grazie – bisbiglia, con un mugolio spaventato.

- Non c'è di che – risponde lui, sempre col suo sorriso divertito, infilando i soldi nel retro dei jeans – Hmm. Ti offrirei qualcosa molto volentieri, ma credo di avere solo birra e che tu oggi abbia trasgredito una quantità di regole sufficienti per i tuoi standard.

Ridono insieme, senza nessun imbarazzo. Chrissy non ha così voglia di andare via, di tornare alla normalità: sa che dovrebbe, ma preferisce tergiversare, prendere tempo. Si muove in giro per la saletta di Eddie in modo imbarazzato, senza una meta precisa. Le maniche che le coprono le mani, il corpo nascosto dentro la felpa, la coda dietro alla testa un po' molle, segno di un fiocco che comincia a cedere, di capelli che chiedono di essere sciolti.

Gli imperfettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora