Ti racconto una storia

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È una di quelle rare volte in cui Eddie non sa che fare.

Normalmente tenterebbe l'inverosimile per far sorridere Chrissy – tirerebbe fuori fino all'eccesso il suo lato istrionico, s'improvviserebbe pagliaccio, artista di strada, giocoliere o quel che è.

Ma ora che lei è trincerata in un silenzio surreale non sa bene cosa dire.

È raggomitolata sul sedile del passeggero: con le braccia si stringe le gambe, i talloni toccano la pelle del sedile e la sporcano, le vertebre del collo sporgono sotto la coda tirata dalla quale fugge qualche ciocca ribelle, stanca di essere ordinata, stanca di essere perfetta. Ha il rimmel sotto gli occhi, un tripudio di pulviscoli neri sulla pelle bianca. Singhiozza e il suo labbro superiore, come quello di una bambina, si è gonfiato.

Sono fermi da almeno un'ora in un parcheggio vicino al bosco, uno di quelli per le zone caccia.

Un'ora. Sessanta lunghissimi minuti di silenzio, di arrovellamento, di ricerca della cosa giusta da dire.

Cercando di ignorare quella sensazione, poi.

Quella così lì.

Dentro allo stomaco, ma anche nel petto, nel cuore, diramata nelle braccia e nelle gambe, nella testa, come un formicolio, come una droga. Eppure Eddie non ha fumato nulla, non ha preso pastiglie, non ha neanche bevuto. È rimasto lucido tutto il tempo, c'era il compito della O'Donnell, l'ultimo, il più importante. Lo ha fatto, chiuso, consegnato felicemente.

Ma allora perché, cos'è, che succede. Quando l'ha vista piangere in mezzo al corridoio è come se una forza invisibile gli avesse fatto dimenticare tutto il resto. Qualcosa – quella cosa lì, sempre lei – l'ha spinto a camminare, ad abbracciarla, a portarla via sotto gli sguardi stupiti di tutti. Fregandosene di Jason Carver, dei professori, di quello che i signori Cunningham diranno o quello che farà lo zio.

Non c'è altro posto al mondo dove vorrebbe essere, ora, se non di fianco a lei.

- Ehi... - prova a chiamarla piano.

Lei alza appena gli occhi, ancora lucidi. Sembra un cerbiatto ora. Lo stesso musino, la stessa espressione smarrita.

- Scusa – mormora a fior di labbra – Mi dispiace, non avrei dovuto coinvolgere, è che io...

Si ferma. Esitando. Abbassa un secondo gli occhi e Eddie, è pronto a giurarci, vede delle chiazze rosse sulle guance.

- Non fa niente. Tanto ehi! Ho dato l'ultimo test. Se tutto va bene, tra due settimane mi levo dai coglioni.

L'idea lo galvanizza così tanto che per un attimo si alleggerisce di tutte le sue preoccupazioni.

- Sono felice. Mi sa che saliremo sul palco del diploma insieme.

Adesso sorride. Sembra aver ritrovato un minimo di entusiasmo, un pensiero a cui aggrapparsi. Scivola in basso con la schiena, scioglie le gambe, appoggia i piedi sul cruscotto. Sembra quasi nascondersi dal vetro, dal mondo esterno a loro.

- Non ti va proprio di raccontarmi cos'è successo?

Eddie sa che non è il momento di scherzare. Che nessun trucco al mondo servirà a far sparire quella tristezza che circonda l'altra come nebbia, aleggiando attorno a lei, roccaforte di pensieri.

- Non è che non mi va, è che non so da dove cominciare.

- Dall'inizio, direi.

Così Chrissy gli racconta. Di suo padre, che la chiama principessa ma poi è poco più di una comparsa nella sua vita, una figura sullo sfondo estranea alle dinamiche della casa, qualcuno che non prende mai posizione perché, semplicemente, non gli interessa. Di sua madre, che vorrebbe fosse perfetta, di come da bambina la pesava sulla bilancia e le proibiva i dolci, di come le abbia proibito per anni di giocare ai compleanni degli altri per non sporcarsi i vestiti, di come lei sia rimasta a lungo ad osservarle, le feste, prima di poterne prendere parte entrando a gamba tesa come una reginetta. Un posto elettivo che non ha mai chiesto, neanche le piace.

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