DRITTA IN CONVENTO

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Lo zio Berto e la nipote avevano lasciato Torcello e stavano navigando per la laguna.

Il mare era molto agitato tinto di un blu scuro molto profondo. Il sole era ormai tramontato all'orizzonte e il cielo era di uno strano colore pervinca.

Evelina aveva il volto pallido e impregnato di dolore, gli occhi arrossati circondati da due evidenti occhiaie nere, fissava arrabbiata lo zio che stava remando e combattendo contro le grandi onde per poter portare la barca verso Venezia.

Evelina si alzò dal fondo dell'imbarcazione e andò a sedersi sopra un'asse di legno, non togliendo mai lo sguardo duro e severo dallo zio, che si sentiva alquanto irrequieto, ma soprattutto a disagio e molto amareggiato. «Smetti di fissarmi in quel modo. Sembra che mi vuoi sbranare vivo.»

«Avevi detto che ci avresti protetti entrambi. Io mi fidavo zio. Mi fidavo ciecamente», confessò lei abbattuta.

«Mi dispiace Evelina, davvero, mi dispiace tantissimo.» Era sincero.

«Questo non basta!» Gli urlò forte.

«Evelina mi dispiace troppo, scusami tanto, ho sbagliato, forse è vero dovevamo essere più prudenti. Scusa se ti ho ferita, lasciami rimediare, per favore ti porgo...» disse con occhi imploranti

«Le tue scuse non mi servono! Fabian è morto e tu non hai fatto niente per impedirlo!» La fanciulla stava piangendo a dirotto e urlava contro lo zio.

«Evelina, ascoltami per favore, lo so che non ti fidi più di me, ma ti aiuterò, risolverò io questo problema con tuo padre. Ti farò ritornare presto a casa, lascia passare solo del tempo, aiuterà a guarire le tue ferite e quelle di tuo padre, poi lo farò ragionare e vedrai che ti rivorrà ancora fra le sue braccia. Non ti odia, è solo ferito e deluso, vedrai che saprà perdonarti, come lo saprai fare anche tu a tempo debito.»

Evelina fissò negli occhi lo zio «Io odio mio padre, non lo perdonerò mai, ha ucciso Fabian, ha ucciso il mio unico amore. Come potrei ritornare anche solo a Torcello per vivere la mia vita? Come potrei non pensare che Fabian è morto vicino al porto a causa di mio padre. Ci passo tutti i giorni per di lì! Come potrei vivere con quel brutto ricordo della sua morte? Non riuscirei a vivere ogni giorno un tale trauma!» Stava di nuovo piangendo disperatamente. Si prese la testa fra le mani.

Lo zio era pieno di sensi di colpa, voleva tanto abbracciarla e tranquillizzarla, non si era mai sentito così distrutto e impotente in tutta la sua intera vita.



Erano giunti a Venezia in tarda sera.

Berto navigò il Canal Grande scuro e torbido, illuminato parzialmente dalle candele gialle accese nelle abitazioni e nelle locande vicine, dalle quali si udivano schiamazzi vari.
Evelina osservò una coppia che gironzolava, erano vestiti in maschera, indossavano abiti colorati e sontuosi, riccamente decorati con pizzi, merletti e pietre preziose simili a diamanti, i loro volti erano coperti da delle baute bianche. Per la fanciulla era strano vedere qualcuno indossare con coraggio le maschere dopo che Napoleone aveva proibito di festeggiare anche il Carnevale.

Lo zio navigò lungo tutto il canale per imboccare un canale molto più stretto e più buio. Attraccò davanti a un edificio in mattoni.

Evelina guardò stranita lo zio, mentre ormeggiava la barca in fretta.

«Che fai?» Domandò sbigottita.

Berto scese dalla barca. «Vieni, ti aiuto a scendere.»

«Ma dove vuoi portarmi?» Insistette la nipote.

Berto sbuffò spazientito. «Ti prego vieni e basta. Sbrigati si sta facendo tardi.»

Evelina aveva un po' di timore perché non sapeva a cosa stava andando incontro.

VENICE TALES ~ IL PONTE DEL DIAVOLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora