2 Dicembre 2024

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2 Dicembre 2024
Ore 16:01


Simone ha chiamato tre volte al giorno per il primo mese.

Due, il secondo.

Una sola volta per tutto il terzo mese.

Poi ha smesso.

Sono rimasti solo sporadici messaggi, con frasi di circostanza, risposte date giusto per cortesia.

Manuel passa la maggior parte del tempo a fissare lo schermo del cellulare per veder comparire una notifica che in qualche modo possa venir collegata a lui.

Però succede di rado.

Non è mai Simone ad iniziare le conversazioni o finirle.

Simone non c'è mai, pare averlo scordato ed è assurdo pensare a come una persona possa venir dimenticata, rimpiazzata in così poco tempo.

Nemmeno le distrazioni della vita quotidiana sono utili. Ha cominciato a frequentare le lezioni all'università di Roma, facoltà di lettere e filosofia, come è da sempre il suo sogno.

Nonostante le rassicurazioni di Dante sul fatto di non preoccuparsi per la retta e le eventuali spese, Manuel non ha voluto saperne di gravare sul professor Balestra per la propria istruzione, per cui si è anche trovato un lavoro part-time come cameriere in un ristorante a Trastevere - con una paga modesta, che però gli permette di mettere da parte qualcosa.

Tuttavia, ciò non basta ad impedirgli di pensare a quel ragazzo oltre la Manica, a colui che nemmeno lo considera.

Buffo come sia diventato lui quello a non esistere.

Adesso è fermo, seduto sul divano di quella villetta che risulta pure un po' sua. Mantiene il cellulare in mano, la schermata ferma sul contatto Simo.

L'ultima chiamata risale al 18 Ottobre.

La gamba sinistra gli sussulta nervosa. Affonda gli incisivi nel labbro inferiore.

Si dice in mente di contare fino a trenta e poi chiudere tutto, di iniziare a prepararsi visto che ha il turno di sera al ristorante e non deve rischiare di fare tardi.

Uno, due, tre.

Anche la mano comincia a tremargli.

Quattro, cinque, sei.

Si sente così stupido. È soltanto una chiamata col suo migliore amico.

Niente di così tragico.

Sette e preme il tasto di avvio.

Il suono sordo dello squillo risulta amplificato e quasi gli fa male un timpano - come se non fosse più abituato.

Occorrono venti secondi affinché quel rumore passi e una voce sopraggiunga dalla parte opposta: «Pronto?».

È un sollievo udire quel nuovo suono.

Manuel sospira sommessamente. «Simó?» chiama il suo nome, giusto per accertarsi che sia davvero lui.

«Manuel? Che succede? Mio padre sta bene?».

Aggrotta la fronte, piuttosto stranito da una domanda del genere, tant'è che finge un colpo di tosse per camuffare la cosa. «Uhm— No, lui sta benissimo, stavo solo...».

Mi mancavi così tanto da farmi male e il solo sentire la tua voce mi tranquillizza.

«Cioè non ci sentiamo da un po', così ti ho chiamato per chiedere— Boh, come va? Che fai?».

Una risata riecheggia al fondo della cornetta. «Sì, lo so, è che il ritmo qui è frenetico, non ho avuto un attimo di respiro».

Manuel dubita sia per quello. Più di un mese e non aver tempo nemmeno di inviargli un messaggio. Baggianate. Non crede sia possibile.

Nel caos quotidiano, un minuto si può sempre trovare, seppur non assiduo.

Un solo minuto.

Immagina di non valere neppure tale frazione di tempo.

«Seh, giusto. Gli inglesi vanno sempre di fretta».

«Scozzesi».

«Vabbè, quel che è».

«Senti, ho l'ultima lezione tra dieci minuti, non posso stare al telefono. Magari ti richiamo stasera».

Manuel sa che non lo farà. «No, lavoro stasera».

«Okay, magari domani allora».

«Sì, uhm— Va bene domani».

«Okay, ci sentiamo».

Riattacca.

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