23 Aprile 2034

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23 Aprile 2034
Ore 19:12

Simone è abbandonato sui cuscini del divano, le gambe allungate in avanti e un libro che non sta davvero leggendo lasciato aperto sulle cosce. Ha sfogliato giusto un paio di pagine nelle ultime tre ore.

Gli fa uno strano effetto essere in quell'appartamento, soprattutto quando è da solo: nella sua testa rimbombano gli echi di quella sera, il rumore dello sparo, la fitta di dolore al petto che pian piano si è trasformata in assenza di qualunque sensazione come se il proprio corpo fluttuasse e non ci fosse più.

Fa strano pensare che sia accaduto nemmeno un mese prima, all'interno del minuscolo bilocale che adesso lo ospita.

Sul pavimento non vi è più traccia del suo sangue, ma se si concentra almeno un po', gli sembra quasi di sentirne l'odore e di vedere i contorni della macchia rossa tingere le mattonelle.

Chiude il libro con un solo gesto e si lascia andare ad un sospiro sommesso; ciò coincide con la chiave che si muove dentro alla serratura, la quale scatta e permette alla porta di aprirsi.

Da una simile posizione, a Simone è sufficiente allungare di poco il collo per osservare Manuel rientrare in casa: lo accoglie con un mesto sorriso leggero e le palpebre che si socchiudono.

Ha un'espressione sempre stanca sul viso, a causa dei molteplici medicinali da assumere post-trapianto e tutti gli effetti collaterali che sopraggiungono uno ad uno.

È ancora a rischio di rigetto, i medici non fanno altro che ricordarglielo, eppure vuole credere che, almeno da quel punto di vista andrà tutto bene.

Del resto, conosce i sintomi, le terapie, ogni cosa. Le memorie dei propri studi non lo hanno abbandonato per quanto non pratichi da tempo.

Un po' gli manca quella parte, sebbene non si ritenga nemmeno più in grado di svolgere una simile è importante mansione, non quando nemmeno si regge in piedi - fisicamente e non.

«Ciao» sussurra Manuel. Si chiude la porta alle spalle. In pochi passi raggiunge il divano, senza nemmeno togliersi la giacca; si sporge in avanti, per depositare un leggero bacio sulla sua fronte. Non si è spinto oltre in tutti quei giorni, anche perché l'altro è stato dimesso da poco.

Ma, nemmeno a ripeterlo, passerebbe ogni ora del giorno a baciarlo.

Si libera dell'intralcio della giacca poco dopo, abbandonando l'indumento distrattamente sullo schienale di una sedia, prima di prendere posto sul minuscolo spazio sul divano, accanto alla gambe distese del secondo ragazzo. «Tutto okay?».

Simone annuisce. Non risponde spesso a quella domanda, non argomenta - un po' perché sarebbe complicato esporre ciò che gli passa per la testa; già si sforza in terapia, nonostante la sua mente sia ermetica e faccia fatica a tirar via qualsiasi genere di sensazione che prova. Perlomeno quelle che lo turbano.

Se deve parlare, invece, delle sue emozioni nei confronti di Manuel, degli amori perduti e ritrovati, potrebbe andare avanti per ore.

Il destino è sempre stato crudele nei loro confronti, a braccetto con un pessimo tempismo, mille parole non dette e confessioni taciute, altrettante incomprensioni e mancanza di coraggio.

Però vuole credere che, adesso, sta dando loro una tregua.

Almeno per un po'.

«Tu come stai?» pigola, in seguito.

«Stanco» biascica Manuel. Ha portato un palmo a posarsi sulla sua coscia, qualche centimetro più in su del ginocchio. «Stavo a pensà a 'na cosa».

«Che?».

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