15 Marzo 2034

1.4K 153 61
                                    

15 Marzo 2034
Ore 15:45

In quell'appartamento ci è già stato, ma adesso è come entrarvi per la prima volta.

Manuel gli ha ripetuto mille volte che può rimanere tutto il tempo del mondo - anche il resto della vita, per quanto non sia mai stato detto a voce alta - eppure Simone si sente comunque in difetto ad essere lì.

«Ti ho preparato il letto de là» esclama Manuel, chiudendosi la porta blindata alle spalle.

Simone è rimasto in piedi, al centro del minuscolo ingresso. Ha zoppicato per arrivarci, a causa della fasciatura alla gamba che si è rivelata una lieve distorsione. Regge in una mano - quella non ingessata - un borsone contenente pochi effetti personali; non è tornato alla vecchia casa per recuperarli tutti e immagina che ricomprerà ciò che gli serve. Si stringe nelle spalle, lancia un'occhiata distratta all'altro ragazzo, che intanto gli gira intorno finché non gli si ferma di fronte e si ritrovano faccia a faccia.

«Non devi» sussurra Simone, abbassando lo sguardo.

«Non devo - cosa?».

«Questo, tu— Lasciarmi il tuo letto, non...».

«Ho un divano molto comodo» puntualizza Manuel e allarga un sorriso sulle labbra. Cerca di farlo risultare il più naturale e rassicurante possibile.

«Sì, ma—».

«Se me inizia a fa' male la schiena, te 'o dico, ma quello penso sia più pe' l'età».

Quell'ultima battuta provoca una lieve risata in Simone - leggera e a stento percettibile, però Manuel non lo sente e vede ridere genuinamente da almeno dieci anni, quindi quel suono è al pari di una dolce melodia.

«Non hai neanche trent'anni» fa notare il primo.

«Guarda che dopo i venticinque è tutto 'n tracollo co' gli acciacchi». Manuel fa una breve pausa durante la quale con delicatezza sfila il manico del borsone marrone dalla presa dell'altro ragazzo, per posarlo in equilibrio sul bracciolo del divano.

«Senti, uhm—» sospira poi. «Io devo annà a sistemà delle cose al locale, faccio veloce».

«Okay».

«Massimo un'ora».

Simone annuisce. La risata è già svanita e ora sforza l'ombra di un sorriso. «Tranquillo, davvero».

Ma Manuel tranquillo non lo è affatto. Ha smesso di esserlo da giorni.

«Non ce pó venì qua, mh?» esterna anche se, forse, non è necessario. «C'ha n'ordinanza restrittiva, se s'avvicina a meno di cinquecento metri—».

«Lo so» lo interrompe Simone, prendendo un respiro profondo. «È sicuro qui». Pronuncia l'ultima frase con leggera incertezza, come se nessun luogo potesse esserlo, sicuro.

È un po' ciò che succede quando quello che dovrebbe essere un rifugio diventa una trappola, quando la persona che dovrebbe amarti diviene quella pronta a distruggerti.

«È sicuro» Manuel gli fa da eco. «Se ce sta qualcosa che non va, me puoi chiamà, mh? Ma io torno subito, te lo prometto». Prova l'istinto viscerale di allungare una mano e sfiorargli il viso. Vorrebbe accarezzarlo, passare i polpastrelli sul contorno dei suoi lividi come se ciò servisse a lenirli. Però non lo fa.

Ha paura di qualsiasi contatto come se esso potesse essere dannoso, in qualche modo. In ospedale gli hanno spiegato e illustrato attentamente molti aspetti di quel trauma ripetuto negli anni: la dottoressa Brilli gli ha esposto la fragilità della situazione, di come, per Simone, ogni cosa deve essere fatta a piccoli passi, compreso il toccarlo, il parlargli di determinate cose.

LeafDove le storie prendono vita. Scoprilo ora