1 Aprile 2034
Ore 12:15L'intervento è durato - per l'esattezza - cinque ore, quarantadue minuti e diciassette secondi.
Manuel ha scandito il tempo come se da esso ne dipendesse e un po' è stato davvero così.
Ha trascorso tutte quelle ore seduto in sala d'attesa, con Chicca al suo fianco che gli ha portato da mangiare, da bere - ha buttato giù del caffè troppo zuccherato necessario giusto a mantenersi sveglio.
Giusto per arrivare al momento in cui un medico dai capelli brizzolati, con addosso un camice verde è andato da loro a dire che l'intervento è andato bene.E Manuel pensa di non aver mai provato una gioia più grande.
Adesso è iniziato un altro tipo di attesa, quella che poi lo condurrà di nuovo nella stanza di Simone, al suo fianco.
Sempre al suo fianco.
Manuel è abbandonato su una delle sedie di metallo, in maniera scomposta e di sicuro poi gli verrà mal di schiena.
Chicca è accanto lui, gli appoggia una mano sulla gamba che continua a tremare. «Hai intenzione di dirglielo?» lascia quella domanda sospesa nell'aria.
Non è nemmeno la prima volta che gliela pone, ma una risposta non l'ha ancora ottenuta.
D'altra parte, Manuel tentenna, sebbene - razionalmente - la replica sarebbe piuttosto logica, breve e concisa: no.
No, non dirà niente.
Esita per ancora un momento, sospira. Lancia alla ragazza un'occhiata distratta, poi torna a fissare davanti a sé e «No» mormora. «Non ora».
Rimanda ad un futuro ipotetico, che potrebbe non esistere. Che poi, finché ne sarà in grado, ha intenzione di tacere, di mantenere quel segreto.
Perché non sarebbe in grado di dire a Simone che nel tuo petto batte il cuore di colui che te l'ha calpestato più volte.
Non sa come reagirebbe - male, con alta probabilità - quindi preferisce non dare spiegazioni, inventare scuse.
E, per ora, è convinto vada bene così.
1 Aprile 2034
Ore 13:17Gli permettono di entrare nella stanza di Simone poco dopo pranzo.
Per questioni mediche, deve farlo indossando un camice blu, una cuffia del medesimo colore e una mascherina chirurgica a coprirgli naso e bocca.
Si sente un po' soffocare con quelle cose addosso, ma cerca di sopportare.
La stanza è più piccola rispetto alla precedente e i macchinari intorno all'altro ragazzo sono di meno, non ha più un tubo tra le labbra per essere aiutato a respirare, sono rimasti due tubicini nelle narici.
C'è un bip meno rado che ridonda tra quelle pareti: scandisce i battiti di quel nuovo cuore - che, dentro di lui, forse risulta un po' meno marcio.
Manuel prende posto accanto al letto, in silenzio e lentamente come ha fatto nelle ore precedenti.
Allunga una mano con appena più leggerezza, per sfiorare con la punta delle dita il dorso di quella dell'altro ragazzo, ancora piena di aghi e cerotti.
È sufficiente quel piccolo e minuscolo contatto per far tremare le palpebre di Simone, che poi piano apre gli occhi; cerca di sorridere, stanco.
Manuel non può mostrarlo, ma anche le sue labbra si sono curvate verso l'alto. «Ciao» sussurra.
Simone ha la bocca secca, l'intero corpo gli formicola e gli sembra di aver dormito per mesi. È spossato, privo di qualsivoglia forza o energia. Tuttavia, posa lo sguardo su chi gli è accanto, su chi ora gli stringe con delicatezza una mano e «Hai— Aspettato» biascica.
«Non me so' mosso» sussurra Manuel. Mantiene un tono basso, a stento percettibile. È come se non volesse interrompere quel fragile silenzio che hanno intorno.
«Ti sta bene il— Camice».
«Visto? Potevo esse medico come te, no?».
«Gran bel medico». Neppure per un secondo Simone prova l'impulso di tirare via la mano, di interrompere il contatto che li sta unendo. Lo trova piacevole ed è così tanto tempo che non gli capitava.
Che un tocco non bruciasse.
«Dicevo sul serio» mormora. I suoi occhi pigri non si spostano dal volto dell'altro ragazzo, per quanto esso sia celato da una mascherina chirurgica. «Che sei sempre stato tu, in ogni— Giorno passato, io... Speravo sempre che tu arrivassi, che ci fossi tu quando uscivo di casa, che dicevi che eri venuto a prendermi». La sua voce è rauca, affaticata, si incrina su alcune parole.
Ciò nonostante, Manuel rimane ad ascoltarlo senza emettere fiato. Tira su col naso, si lascia andare ad un lungo sospiro, mentre con la punta del pollice traccia dei cerchi immaginari sul dorso della sua mano.
Abbassa lo sguardo per mezzo secondo. «Ad aspettare se perdono 'n sacco d'occasioni» sussurra. «A fa' gli orgogliosi, a pensa' sempre d'avè tempo quanno non è così. E io non ne voglio più sprecare, non co' te».
Parla con cognizione di causa poiché sa che fuori non ne hanno più, di ostacoli. E questo lo rende appena più sicuro.
«Voglio prendermi il presente un po' rotto e costruirce un futuro bellissimo, solo co' te, amore».
Non c'è abituato ad usare quella parola. Non ha mai chiamato nessuno in quel modo, nemmeno colei che è stata sua moglie - il che è pure un briciolo ingiusto e stupido, lo riconosce, e con lei, donna meravigliosa, non potrà mai scusarsi abbastanza per non averle dato ciò che meritava.
L'amore, in primis.
Quell'amore che ha sempre - e per sempre - destinato a qualcuno di diverso.
Qualcuno con cui è stato diverso sin dal principio, in ogni spazio e tempo, in ogni vita, in ogni universo.
Che è un concetto tanto banale quanto potente, quello di appartenersi oltre i confini umani.
Non è per tutti gli amori, solo quelli più puri.
Udendo tale parola, le labbra di Simone si curvano in un lieve sorriso. «M'hai chiamato amore?» sussurra.
«T'ho chiamato amore» replica Manuel. Non gli serve togliere la mascherina: sorridono i suoi occhi. «Te vojo chiamà sempre amore».
«Puoi farlo» mormora Simone e sbatte lentamente le palpebre.
Per tutte le volte in cui non l'abbiamo fatto.
STAI LEGGENDO
Leaf
FanfictionManuel pensa che se non avesse fatto trascorrere dieci autunni, forse le cose sarebbero andate diversamente. Se avesse agito alla prima foglia caduta, forse la vita di Simone sarebbe stata migliore e non quell'incubo che ora lo tormenta.