Capitolo 17

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Mi svegliai di colpo per la terza - o forse la quarta - volta.
Non riuscivo a dormire, continuando a rivivere nella mia testa quei momenti di panico senza un apparente motivo.
Forse avevo paura che abbassando la guardia sarebbe potuto risuccedere quando meno me lo fossi aspettata ma la porta della mia camera era chiusa a chiave dall'interno, anche se ciò non mi tranquillizzava.
Il mio cellulare vibrò. Hannah.
<<È successo qualcosa? Scusa se ti ho risposto ora ma stavo dormendo>>
Guardai l'orario. Per aver dormito fino alle tre di pomeriggio ininterrottamente, sicuramente era andata a dormire molto più tardi di quanto pensassi.
<<Sì ma non è il caso di parlarne attraverso messaggio. Ho bisogno di sentire il tuo parere ma lo voglio dalla tua presenza in carne ed ossa>>
Non rispose a quel mio ultimo messaggio.
Probabilmente stava iniziando a preoccuparsi per me.
Bussò alla porta.
Sapevo che il momento del secondo affronto sarebbe arrivato ma speravo sarebbe successo il più tardi possibile.
<<Ehi, possiamo parlare?>>
Parlava lentamente, scandiva le parole e il suo tono era tra il triste ed il dispiaciuto.
Aspettai qualche istante.
Mi sarei potuta muovere ma, ancora una volta, il mio istinto agiva senza chiedermi il permesso e mi impediva qualsiasi movimento o parola.
<<Perfavore>>
Lottai contro la parte più saggia e cauta di me per arrivare fino alla porta e girare la chiave che non avevo mai tolto dalla serratura.
Sembrò stupito nel vedermi in faccia, dritto negli occhi.
<<Ehm... pensavo non mi avresti aperto>>
Lo ignorai.
<<Cosa c'è?>>
La mia domanda così secca sembrò risvegliarlo dallo stato di trans in cui si trovava.
<<Ho riguardato la chat di ieri sera e, bhe, quella nella foto è la mia ex-ragazza>>
Lo guardai stupita.
<<Sei venuto qui per dirmi che hai scopato con la tua ex mentre io ero in discoteca?>>
Il mio tono si alterò leggermente verso la fine della frase, chiaramente agitato.
<<No, non hai capito. È una foto che ho fatto con la mia ex ma prima che ci lasciassimo. Non risale a ieri notte>>
Sospirai e mi presi una piccola pausa per riflettere. Non so per quale motivo, ma quella confessione sembrò alleggerirmi, per quanto possibile, il cuore. Non abbastanza da dimenticare ma, per lo meno, per rilassarmi un minimo.
<<Bene. Quindi...?>>
<<Nulla. Ci tenevo che tu lo sapessi. Che sapessi che non sono uno che si porta a letto la prima che passa>>
Quelle parole mi risuonarono nelle orecchie.
Sapevo che sarebbe potuta essere una frase detta senza rifletterci, eppure, quell'uomo non mi sembrava e mai mi era sembrato uno che buttasse parole significative all'aria.
In quel caso, io non ero una qualunque? E perchè non lo ero? Per quale motivo? E perchè proprio io? Perché non un'altra. O la prima ragazza che si fosse proposta come donna delle pulizie sarebbe potuta diventare "non una qualunque" al mio posto?
<<Stai... bene?>>
Mi resi conto che lo stavo fissando con sguardo perso da diversi secondi.
Deglutii, sperando che quel gesto mi ridesse la parola ma non fu così.
Lo guardai ancora in faccia ma, questa volta, talmente piena di sentimenti da farli traboccare dovunque.
Non sembrò accennare il minimo movimento neanche lui, contemplando più attentamente i miei occhi devastati dalla stanchezza e da emozioni insensate e contrastanti.
Avrei voluto piangere per il dolore e, allo stesso tempo, ridere di gioia. Ero definitivamente impazzita.
Ero matta, sì, ma davanti a lui, mi sentivo semplicemente giusta.
Non mi sembrava possibile ripugnare e desiderare allo stesso tempo un uomo che mi aveva provocato un danno tale da impedirmi di dormire serenamente. 
Eppure lo volevo.
Avevo paura che ne avrebbe approfittato ancora ma volevo che mi prendesse per i fianchi con il suo solito fare possessivo, mi spingesse fino al letto e mi buttasse sopra, prendendo il completo controllo del mio corpo e usandolo come meglio voleva. 
No, non potevo.
Non potevo per me stessa, per la mia mente e per la mia salute.
Quell'essere era stato meschino e bugiardo fin dall'inizio, fin dalla nostra prima uscita insieme, ottenuta tramite una bugia imperdonabile.
Mi resi conto solo in quel momento di quanto effettivamente poco tempo fosse passato dalla prima volta che lo avevo conosciuto, che gli avevo parlato e che avevo cominciato a lavorare dentro quell'immenso edificio. Mi resi conto di quanto avevamo affrettato cose che nemmeno sarebbero dovute succedere in una relazione lavorativa come le altre. 
Ma la nostra relazione lavorativa non era come le altre.
Era migliore.
O forse peggiore.

Era, senza dubbio, più che una relazione solo basata sul lavoro. Questa, per quanto banale e scontata, era l'unica cosa di cui fossi sicura in quel momento al cento per cento.
Il resto era solo un ammasso di materia a me ignota.
Dovevo superare quel trauma ma così velocemente e dopo così poco tempo lo avrebbe solo peggiorato e mi avrebbe portata a non fidarmi di nessuno.
Dovevo, per una volta, ascoltare la parte di me che ragionava normalmente e non come una ninfomane in astinenza e proibirmi categoricamente di riavvicinarmi a quello che era e che sarebbe dovuto rimanere solo il mio capo.

Le mie labbra si posarono sulle sue improvvisamente e portai istintivamente le mie braccia dietro il suo collo, per tenerlo stretto a me e per impedirgli di spostarsi.
Ero una cogliona.
Quell'uomo, insieme alla mia verginità, si era preso anche la mia capacità di pensare lucidamente la prima volta che era stato a letto con me.
Ero stata sicura, fino a prima di quel momento, che un riavvicinamento mi avrebbe solo fatta stare male ma la sua vicinanza mi tranquillizzava e mi faceva sentire protetta. 
Brividi di timore continui mi percorrevano la schiena e le sue mani sulla mia pelle li facevano, sì, aumentare, ma allo stesso tempo anche diventare meno dolorosi.
Non ne capivo la logica.

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