somebody that i used to know

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Lunedì 15 agosto 2022


Viaggio in pullman col socio. Quasi le 19. Mancano circa due ore per arrivare a Cariati Marina.

Usare i mezzi di trasporto è una roulette russa. Sai quando parti, non sai se raggiungi la destinazione. Sarà perché sono un cagasotto, sarà perché sono intollerante agli altri.

Questo nervosismo compromette la mia razionalità – già compromessa alla base – e nulla sembra più reale.

Affacciandomi oltre il finestrino, miro il verde paesaggio che, al posto di rilassarmi, fa nascere in me dei neri interrogativi. Se qualcosa di brutto succedesse in questo momento? Cosa ne sarà di me, dei miei oggetti, delle cose che ho scritto?

Giacché la morte è una minaccia onnipresente, spesso rifletto su quanto, senza escludere nessuno, arrivi all'improvviso: ora ci sei, e un momento dopo hai smesso di esistere. Non c'è alcuna possibilità di metabolizzare gli ultimi istanti di vita.

Ma non sono spaventato dalla morte in sé. Io, che della vita non ne so ancora niente, ho cercato di osservare una parte del guazzabuglio, e convengo che lei ci aspetta tutti. A volte basta ascoltare le notizie in televisione, o passeggiare per strada, ed osservare quanto la morte sia parte di noi e, dunque, impossibile da raggirare. Come quando, ad un fanciullino, si danno vaghe spiegazioni su una perdita sofferta. Nella semplicità del conforto, quello che resta è solo rassegnazione, perché da essa nessuno può sfuggire.

E non credo neanche – almeno adesso - che ci sia qualcosa dopo la morte. Dalla reincarnazione all'oltretomba, la certezza di un dopo annullerebbe il senso di tutte le mie azioni: sono una persona accidiosa, dunque mi limiterei a vivere tutto in modo superficiale, accomodandomi sulla certezza di avere una vita ultraterrena – a tutti gli effetti, una seconda possibilità -.

Sapendo che il tempo scorre e che io non ci sarò, invece, mi godo ogni attimo e faccio di tutto per lasciare un segno – con le lettere, le immagini e i suoni -.

Mi tormenta, piuttosto, l'idea che, assieme a me, la morte porti via tutte le mie idee, tutto quello che ho da dire, tutto quello che non ho ancora messo per iscritto. Di me, dunque, non rimarrebbe altro che un inconcludente mucchio di paginette. Ecco perché ho la mania di abbandonarmi alla penna ed esternare il mio animo. È la paura di essere dimenticato, e la paura di andare via troppo presto.

Intanto, ho scritto dei versi. Spontanei, illogici, ma necessari. Probabilmente, tra mezz'ora, mi verrebbe da buttarli via, ma non lo farò. Avevo il bisogno di tirarli fuori e, ormai incancellabili, riposano nel mio blocco note con il disegno di un cammello.

A rendere questa gita fastidiosa, oltre ai tempi biblici e all'aria condizionata difettosa, è un triello di ucraine sedute proprio davanti a noi. Avranno, su per giù, la nostra età. Sono carine, alte e, come da copione, biondine – tratto che disprezzo -. Tra accenti bislacchi e risatine irritanti, hanno cominciato a parlare da quando siamo partiti. 180 minuti di chiacchiericcio cirillico.

All'inizio, qualche rotella arrugginita nella mia testa ha, in qualche modo, ripreso a funzionare. Mi sono interrogato su di loro, immaginandomi come abbiano vissuto gli ultimi mesi a questa parte. Guerra, famiglia, abbandono, fine ed inizio. Alla prima sosta in autogrill mi sono curato di presentarmi ed offrirle dei cioccolatini – nulla di speciale, solo un gesto carino -.

Col volare delle lancette però, il tutto ha preso una strana piega. Ho smesso di interessarmi e, infastidito da qualsiasi cosa, non sono riuscito a reggere la presenza delle altre persone. Dovevo chiudere la parentesi.

Nell'inconfessata speranza di rilassarmi e, magari, prendere anche sonno, ho iniziato ad ascoltare musica col socio. Un auricolare io, un auricolare lui – scena romantica -. Avrei messo a tacere i fastidi, i pensieri scomodi e le paranoie.

Dopo un consuetudinario viaggio con i Pink Floyd, il socio mette su un pezzo inaspettato, che avevo riposto in chissà quale angolo della memoria: Somebody that I used to know. Piacevole, dolce, colorato... verde. Chissà quand'è che l'ho sentito per l'ultima volta. Eppure, ad ogni ascolto, mi regala emozioni intense e differenti.

Adesso è più vigoroso del solito, tanto da accompagnarmi in visioni mistiche. Un climax psicologico, intrinseco, in cui mi proietto come l'enigmatico protagonista di un film. In realtà, sono solo io, uno sbadato che ha difficoltà a leggere l'orologio.

Le prime visioni mi ricordano quello a cui sto dando le spalle. Dal rewatch di Breaking Bad in lingua originale all'abbandono di una routine, dalla calma dei giorni estivi alla tua scomparsa. Perché, in fondo, quello che resta di te è solo una tenue, vaga traccia. Le cose, in qualche modo, vanno affrontate e superate, e questa è un'occasione per compiere il passo definitivo. Quel che è fatto, è fatto.

Però qualcosa sta cambiando. La mente viaggia adesso verso luoghi inesplorati. Spinge avanti, con uno sguardo più puro sui giorni a venire. Nuove direzioni, nuovi colori. Una goccia arancione scivola nel grigio in cui ho sguazzato negli ultimi mesi: è un'amara lacrima che trattengo.

Mi meraviglio pensando a quante sorprese la vita abbia ancora da offrirmi. Quante dolci note ascolterò, quanti tramonti contemplerò, quante parole scriverò, quante persone conoscerò. Ce ne saranno di secondarie, così come, spero, ce ne saranno di importanti: quelle che mi danno un motivo in più per sorridere, quelle che mi accettano davvero – anche se sono insopportabile -.

Ma non mi aspetto di arrivare subito a questo lieto fine. Al contrario, prevedo altre insidie da stroncare. Si trovano dentro me, insieme alle cattive abitudini.

Quando avrò estirpato le radici del male e resistito alle tentazioni più effimere, l'arcobaleno tornerà a splendere in cielo.

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