Otto

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Nonostante l'ombrello, che in gran parte ha fatto il suo sporco lavoro, sono quasi del tutto fradicia. I miei capelli gocciolano, i piedi sono immersi in un fastidioso brodo piovano freddo e le mani sono congelate, talmente tanto che hanno raggiunto un colore violetto. Sento quasi che a ogni passo che mi separa da casa mia, la pioggia aumenti sempre di più, talmente tanto che non riesco più a distinguere qualcosa che sta a un centimetro dal mio naso.

Finalmente scorgo casa mia e aumento il passo con il volto illuminato dalla gioia, che si va a espandere di più non appena noto che né la macchina di mia madre e né quella di mio padre sono parcheggiate fuori in cortile, segno che non siano ancora arrivati.

Mi fiondo verso la porta e provo a ruotare il pomello: è aperta, nonostante io l'abbia chiusa prima di uscire.

Vengo pervasa dal panico: e se fosse mia madre o mio padre che ha aperto la porta? E se mi fossi fatta false speranze, dovendomi poi subire una ramanzina pesante con punizione?

Chiudo l'ombrello ed entro in casa, impaurita come una ragazza dispersa nella giungla di Tarzan.

Ma non faccio in tempo a mettere anche l'altro piede sul tappeto d'ingresso, che una voce giunge alle mie orecchie e mi rincuora.

«Ma dove cazzo sei stata?».

Mi volto verso Eddie, in piedi sulla soglia della cucina, vestito con un maglioncino di lana e dei jeans scuri. Mi scruta serio, quasi arrabbiato, mentre stringe nella mano sinistra una tazza fumante di ceramica blu.

«Bonjour Monsieur» dico, con un lieve sorriso imbarazzato, ma alleggerito, che mi increspa le labbra.

«Bounjour un cacchio, sei uscita senza lasciarmi un biglietto o mandarmi un messaggio, in più sta diluviando! Ma cazzo! Guardati! Sembri un calzino che è appena stato ripescato da una pozzanghera!».

Sospiro: in effetti non ha tutti i torti.

«Mi dispiace».

Eddie alza gli occhi al cielo.

«Dio mi sento come la mamma! Credi stia diventando vecchio?»

«Vecchio no, ma rompicoglioni sì».

Si fa un piccola risata scuotendo la testa da sinistra a destra, poi prende un sorso di ciò che c'è nella tazza, che a giudicare dall'odore sembra caffelatte.

«Quindi? Come mai sei uscita seppur stia diluviando?».

Mi blocco dal salire le scale, un piede sul primo gradino e il secondo sospeso a mezz'aria.

«Ehm...».

Eddie alza un sopracciglio, a metà fra il confuso e il sospettoso.

Non so se dirgli la verità oppure no, da una parte vorrei, perchè è mio fratello e non ci siamo mai nascosti nulla, ma dall'altra so che è probabile che si incazzi, siccome mi aveva avvertito di stare alla larga da Charlie. Ma ha sbagliato... Ha sbagliato perché Charlie è un bravo ragazzo. Certo, ha qualche rotella fuori posto, questo lo riconosco anche io, ma è una persona gentile che ama la libertà e la giustizia e che non esita a ribellarsi per ottenerla.

E poi c'è sempre questa situazione che mi incuriosisce e mi lascia perplessa allo stesso tempo: il fatto che io riesca a guardare quel ragazzo negli occhi. Va bene che ci riesco solo per pochi secondi, ma è pur sempre qualcosa. E volendo proprio guardare quei secondi sono una grossa quantità di tempo secondo i miei standard, considerando che con altre persone, al di fuori di Eddie e della mia famiglia, non lo faccio mai, se non per sbaglio.

Sospiro, scelgo di dirglielo. Lui deve sapere, ci diciamo da sempre qualsiasi cosa, seppur imbarazzante e terribile, perché siamo fratelli e ci vogliamo un mondo di bene.

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