Ventiquattro

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Mi sveglio di soprassalto e cerco a tentoni e completamente confusa il telefono, che sta suonando con insistenza da qualche secondo.

Lo prendo e mi stropiccio gli occhi gonfi e assonnati per vedere che ore sono e specialmente chi è.

Sospiro non appena vedo il nome di Charlie scritto sullo schermo.

«Fa che non sia ciò che sto pensando» prego nella mia testa, mentre mi accingo a premere il tasto verde di risposta.

Sono passate due settimane dall'incidente di Charlie e i medici non lo hanno ancora dimesso, anche se le sue ferite si sono quasi completamente cicatrizzate e non ha più la maggior parte di ingessature e tutori che bloccavano metà del suo corpo.

Sta guarendo e sono tanto felice per questo, ma ciò che mi inquieta di più sono i suoi stati d'animo che variano in continuazione. Ultimamente sta avendo delle piccole crisi emotive, legate sia agli orribili ricordi della litigata con i suoi che alla mancanza della sua gamba.

Detesto vederlo in quel modo, piangente e con lievi attacchi di panico che scuotono il suo fragile corpo.

Un giorno addirittura, durante una di queste, era impazzito completamente, tant'è che si era strappato la flebo dal braccio e aveva cercato di mettersi in piedi per andarsene. Peccato che aveva perso l'equilibrio per via del pezzo di gamba mancante, crollando a terra come un sacco di patate. Fortunatamente non si è fatto nulla, nemmeno un graffio, anche se ha rischiato di spezzarsi nuovamente un braccio.

Quel giorno non ero presente, purtroppo, tutto questo mi era stato raccontato da un'infermiera quando sono tornata in ospedale il giorno dopo. Dico purtroppo perché credo, anzi, sono più che certa, che se ci fossi stata io in quel momento, Charlie non si sarebbe comportato in quel modo.

Ho imparato a domare le sue piccole crisi da quando sono iniziate a comparire, accarezzandogli i capelli e consolandolo con dolci e calme parole, almeno fino a quando non avrebbe smesso di piangere e sarebbe scivolato nel sonno, più sereno.

Ed é proprio questo che temo ora: e se questa fosse proprio una crisi? Come farò a domarla essendo distante da lui? Senza potergli stringere la mano, abbracciarlo o dargli qualsiasi forma di conforto fisico?

«Pronto?».

Singhiozzi, solo questo sento. Singhiozzi uniti a respiri ansimanti e appesantiti.

Vengo per un istante scossa da un brivido, mi sembra quasi di essere ritornata a quel giorno, quando ho risposto al telefono e mi sono ritrovata Amanda che piangeva convulsamente, pronta a darmi una delle notizie peggiori della mia esistenza.

«Zilla... Aiuto...».

Ho fatto centro, eccome anche: Charlie é nel bel mezzo di una delle sue crisi e a giudicare dalla voce e dai singhiozzi, riesco a dedurre che non sia neanche tanto leggera.

«Charlie, fa' un bel respiro innanzitutto e calmati».

Devo contare solo sul conforto verbale e impegnarmi al massimo delle mie capacità comunicative per aiutarlo, spero vivamente funzioni.

Lo sento respirare meglio, percepisco quasi che si stia sforzando di imporre ai suoi polmoni un ritmo più calmo e normale.

Appena sento i suoi respiri farsi più lenti e il suo singhiozzare meno convulso, capisco di essere riuscita minimamente nei miei intenti e che sono sulla strada giusta.

«Bene... Adesso puoi raccontarmi che è successo?» cerco di rendere la mia voce il più confortevole possibile. Voglio farlo sentire a suo agio, ancor di più dato che non sono lì presente.

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