Quindici

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Charlie's chapter

Charlie non ama l'inverno, anzi lo odia proprio. L'unica cosa di quel periodo che gli piace veramente è il dolce profumo del tè bollente che è solito a bersi tutte le mattine.

A Charlie piace il caldo, che sia offerto dal sole o dalle coperte morbide in cui a volte si avvolge per scampare alla disperazione.

Ma il destino ha scelto male per lui, per l'ennesima volta: il suo compleanno cade proprio in inverno, il ventidue gennaio.

Ha da sempre creduto che la sua esistenza ruoti sempre attorno a un alone di sfiga che da sempre lo porta a essere infelice, e a imprimersi sul volto quel suo sorriso indelebile che deve fare per non angosciare chi gli sta accanto, genitori compresi.

Forse sarebbe meglio escludere la parola "genitori" dalla lista, in effetti Charlie pensa spesso che loro non gli vogliano bene. Sono distratti, sbadati, e lo hanno da sempre lasciato solo, fin da quando era un piccolo bambino innocente, con la voglia di scoprire il mondo.

Gli è da sempre capitato di pensare a quanto volesse vedere i suoi genitori licenziati da quell'insulso lavoro che li tiene lontano da lui, che impedisce a loro di comportarsi da vera famiglia.

Soffre davvero molto per questo e preferirebbe rimanere al verde piuttosto che passare la sua intera vita a essere solo come un cane. Vorrebbe essere amato, per una volta. Vorrebbe avere una famiglia normale, anche solo per un giorno. Vorrebbe poter dire di aver passato il migliore Natale in tutta la sua vita, ma ne ha già passati quasi nove su sedici insieme a dei vicini parenti a cui sentiva di non appartenere.

Charlie sorride nonostante la sua sofferenza, perché deve essere forte, davanti a tutto, davanti a tutti.

A tentoni cerca il telefono posato sul suo comodino, nel vano tentativo di spegnere la sveglia impostata alle sei e mezzo del mattino. Appena lo trova lo stringe e con una violenza tale da trafiggere lo schermo del cellulare, pigia il bottone "spegni". La schermata della sveglia si leva, mostrando lo sfondo del blocco schermo: un selfie fatto con Zilla qualche mese prima, mentre stavano bevendo una tazza di caffè allo Starbucks della cittadina.

Sente le guance calde, mentre il suo sguardo segue i lineamenti di una Zilla impacciata, intenta a bere il suo Caramel Macchiato. I suoi occhi sono leggermente sorpresi, evidentemente perché non si era aspettata di essere immortalata in un momento così carino quanto imbarazzante.

«Eliminala» lo aveva minacciato, ma lui, per stuzzicarla, l'aveva messa proprio come sfondo del blocco schermo, in modo tale che rimanesse in bella vista tutte le volte che accendeva il telefono per controllare l'ora o le eventuali notifiche.

Alla fine però Zilla si era messa a ridacchiare e non gli aveva detto più nulla, permettendogli di tenere quella foto sul suo telefono.

Charlie sorride a quella foto senza motivo, mentre le sue guance prendono a farsi ancora più bollenti, ma il suo incanto finisce non appena vede la data scritta poco sotto l'ora: ventidue gennaio.

Quando finalmente si era dimenticato del pensiero del suo compleanno, che lo aveva tenuto sveglio quasi tutta la notte, ora invece se n'era appena ricordato tutto d'un tratto.

Sbuffa e si alza, concentrandosi piuttosto su ciò che deve mettersi per andare a scuola.

Pesca la prima felpa che trova, gialla, con dei motivi a righe sulle maniche, e il primo paio di jeans scuri, indossandoli poi svogliatamente.

L'unico pensiero che lo tiene ancora abbastanza in vita, facendogli tornare la lieve voglia di andare in quel posto fatto solo di discriminazioni e prese per il culo, è Zilla. Dio, quanto non vede l'ora di incontrarla!

È l'unica persona che vorrebbe abbracciare, l'unica a cui vorrebbe parlare dei suoi tormenti più profondi, l'unica da cui vorrebbe sentirsi dire "buon compleanno".

Gliel'aveva accennato, qualche giorno fa, del suo compleanno, ottenendone in cambio la data di quello di lei: il trenta giugno.  Da allora si era segnato la data del trenta giugno a caratteri cubitali sia sul calendario cartaceo che su quello del telefono, in modo da non dimenticarselo assolutamente.

Al pensiero di Zilla, la sua mente fa un piccolo click, ricordandosi improvvisamente di quella giornata a Villa Ricerston.

Ma che gli era passato in testa?! Prenderla per mano?! Aveva quasi percepito tutto l'imbarazzo di Zilla dietro quel gesto, nonostante aveva notato che lei avesse spostato di più la mano verso di lui.

Non capì mai il significato della risposta a quel sul gesto, ma sinceramente fu una cosa che lo devastò talmente tanto da provare vergogna anche in questo preciso istante, nonostante siano passate più di due settimane.

Scuote la testa, cercando di dimenticare quei pensieri assurdi, e si decide a scendere al piano di sotto per fare colazione.

Abbandona la cartella già preparata davanti alla porta e si dirige verso la cucina, ma non fa in tempo a raggiungerla che il suo sguardo viene attirato da sua madre e suo padre intenti a discutere davanti alla porta del salotto.

«Amanda, il capo ha detto che dobbiamo partire ORA» borbotta suo padre, intento a chiudere una grossa valigia.

Quando quei due iniziano a preparare valigie significa solo una cosa, e Charlie lo sa benissimo: stanno per partire, ancora.

«Ma Victor! Siamo stati già via un mese e siamo tornati da a malapena due settimane, seriamente dobbiamo andare ancora?»

«Vuoi perdere forse il lavoro? Avanti, Copenaghen ci aspetta».

Charlie osserva la scena, muto e stretto nelle spalle, le braccia distese lungo i fianchi, molli, prive di vita.

Qualche istante dopo sua madre finalmente lo nota e lo guarda con occhi dispiaciuti.

Charlie prova come l'istinto di volersi accecare, infilandosi un paletto di ferro rovente per occhio, pur di non vedere quello sguardo pieno di tristezza di una finta madre.

«Ve ne andate ancora, non è vero?» dice con parole dure, la sua voce ridotta a un sibilo.

«Sì tesoro, ci dispiace molto, ma torneremo presto, te lo promettiamo»

"Ultimamente è una frase che ripeti molte volte, non credi?" vorrebbe dirle, ma le parole gli muoiono in gola e si costringe ad annuire con indifferenza.

«Davvero, tesoro mio, torneremo presto, ok?»

«Ok...».

Abbassa lo sguardo, in attesa di un qualsiasi augurio di buon compleanno da parte dei suoi. Attende e attende, mentre i due continuano a discutere e preparare le ultime cose.

«Bene» mormora suo padre, sistemandosi la cravatta «appena arriviamo ti mandiamo un messaggio, ok?».

Charlie annuisce distratto, le speranze ancora alte nel ricevere l'augurio per il suo compleanno.

«Ci vediamo fra qualche giorno» sua madre gli posa un delicato bacio sulla fronte, poi, strisciando la valigia terra, si dirige verso la porta, dove si infila le scarpe, prima di uscire e chiudersela alle spalle con un piccolo tonfo.

Charlie rimane immobile, uno leggero sconforto segna il suo volto: si sono entrambi dimenticati del suo compleanno, di nuovo. 

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