Diciassette

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Avevo baciato un ragazzo, ma non un ragazzo qualsiasi, avevo baciato Charlie Gray. Ci era davvero mancato poco che svenissi tra le sue braccia nel momento in cui ci siamo separati, ero qualcosa come al settimo cielo, ma anche al settimo smarrimento di cervello e di ogni funzione cognitiva appartenente a esso.

Credo sia stata una delle esperienze più belle, ma dannatamente imbarazzanti, della mia intera esistenza.

Sospiro e mi agito per un po' sul materasso del mio letto per scaricare la tensione che ancora mi avvolge. Mi sento un po' come una di quelle cheerleader americane che si vedono nelle serie TV, intente a saltellare di gioia per tutta la stanza, perché il rugbista più figo gli ha chiesto di uscire.

Certo, Charlie non è un rugbista, ma di certo è qualcuno che ha fatto battere forte il mio cuore difficile da conquistare.

Forse era davvero questo ciò che volevano dirmi i miei sensi, il mio coraggio continuo durante tutte quelle volte in cui sono riuscita a guardarlo negli occhi, a farmi toccare da lui, a sentire il suo sguardo sul mio corpo senza sentire troppo fastidio. Questo era: l'amore. Io amavo Charlie Gray, ma la mia mente non lo voleva capire, dando per scontato che fosse solo un affetto provato nei confronti della sua amicizia, nulla di più, nulla di meno.

Fisso il soffitto per lunghi attimi, mentre stringo forte il telefono in una mano. Nell'aria vola un ottimo profumo di frutti rossi, segno che Eddie ha acceso una delle sue settecento candele profumate.

Ha da sempre avuto una passione smisurata per quei corpi di cera di ogni misura e diametro, talvolta colorati, che spigionano un ottimo profumo non appena gli dai fuoco. Ormai ne possiede all'incirca una quindicina, tutte utilizzate almeno una volta nel corso del tempo. Un giorno addirittura aveva rischiato di incendiare mezza casa perché si era dimenticato di spegnerne una. Nostra madre si era arrabbiata tantissimo, talmente tanto che gli aveva sequestrato tutte le candele, giurando di buttarle via, ma fortunatamente, dopo un paio di settimane, gliele aveva restituite, ammonendolo di usarle con testa perché altrimenti "a sua sorella sarebbero venute in mente strane idee", neanche fossi stata una piromane sul punto di far saltare in aria mezzo mondo. Ma nostra madre è fatta così: teme che qualsiasi comportamento possa influenzarci negativamente, ancor di più ora che siamo degli adolescenti.

Mi sporgo dal letto e frugo al di sotto di esso, alla ricerca del mio fidato diario. Oggi è uno di quei giorni in cui devo assolutamente scrivere qualcosa, non voglio dimenticare nemmeno una virgola di quello che ho provato in quel momento, stretta fra le braccia di Charlie.

Stringo il diario fra le mani e lo appoggio sulle mie gambe, accarezzando la copertina di pelle con i polpastrelli. Lo avevo comprato un bel po' di tempo fa in un negozietto che vendeva specialmente cancelleria. Ricordo con fermezza che ci ero andata insieme a Eddie per cercare delle carte colorate decenti da piegare. Era un periodo in cui ci eravamo entrambi fissati con gli origami, talmente tanto che eravamo soliti a guardare un sacco di video tutorial su come farli.

Nel mentre scorrevo lo sguardo sugli scaffali, alla ricerca di quegli stramaledetti foglietti, lo vidi, rosso come il fuoco, dalle pagine a righe leggermente ingiallite, pronto per essere sfiorato dalle mie dita e scarabocchiato dei miei pensieri da ragazza lamentosa quale sono.

Sono quasi certa che, se il mio diario potesse parlare, mi direbbe che preferirebbe gettarsi dall'empire state building a New York ed essere calpestato da miliardi di persone, piuttosto che essere il mio sfogo personale di lamentele e delusioni. Meno male che i diari non possiedono una bocca... Tuttavia, se proprio un giorno gliene spuntasse una e iniziasse a darmi contro tutte le pene che ho potuto fargli patire, posso difendermi con il fatto di avere ben una pagina su circa duecento, in cui scrivo di un avvenimento che mi ha fatto sentire bene, e non di una solita lamentela.

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