Ventidue

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Sono le cinque del mattino di una domenica deprimente e sono sveglia. A essere precisi sarei sveglia da molto tempo, circa le due/tre, ma mi piace fingere di essere la tipica ragazza americana che si sveglia presto tutti i giorni per andare a fare jogging.

Ora, io non ho idea di quali razza di droghe assumono queste persone per andare a correre di primo mattino al freddo e al buio, ma devo ammettere che devono possedere un prestigio notevole.

Personalmente li ammiro molto, insomma, ci vuole davvero una grande forza di volontà per fare sport tutti i giorni, alla mattina presto, quando probabilmente mezzo mondo sta ancora dormendo. Tuttavia preferisco di gran lunga interpretare la parte della ragazza pigra e svogliata che alle cinque del mattino di domenica dorme con la bocca aperta sbavando come un Bulldog.

Peccato che questa domenica non sia come le altre domeniche... Infatti non me la sto spassando più di tanto.

Sbatto gli occhi a raffica nel buio, stanca, giù di tono. Avrò dormito a malapena due ore... Sono stata troppo impegnata a piangere e disperarmi.

Ieri sera, da quando Charlie se ne è andato, sono rimasta tutto il tempo a tavola, sola, mentre alle mie orecchie giungevano le urla dei miei genitori mischiate a quelle di Eddie.

Sapevo sarebbe andata a finire così, i nostri genitori non sono mai stati così flessibili di mente da poter accettare un cambiamento così grosso e pesante, perciò avevo già compreso come sarebbe andata a finire nel momento in cui Eddie ha sputato sul tavolo quella verità che tanto gli faceva male.

Confido nel fatto che lo comprendano più avanti, perché nonostante siano entrambi persone molto esigenti da noi e dal mondo, ci vogliono molto bene, e spero vivamente che questo bene li porti a capire cos'è meglio per Eddie, ovvero l'amore che lo lega a Lewis.

Allungo il braccio e cerco a tentoni il telefono sul comodino. Appena lo trovo lo prendo e lo accendo, mentre un selfie di me e Charlie usato come sfondo mi illumina completamente la faccia. Mezza accecata apro Instagram e inizio a scorrere alcune foto di profili che seguo. La maggior parte di questi sono post che riguardano gattini carini, serie televisive e meme sull'oroscopo, tutte cazzate che potrebbero considerarsi ottime come passatempo.

A un certo punto il mio dito si arresta, smettendo di scorrere sullo schermo del telefono. Ho appena trovato un post di Charlie, risalente a qualche giorno fa. Rappresenta Seppia, il suo magnifico gatto, che dorme in soggiorno illuminato da un tiepido raggio di sole che filtra dalla finestra. Non è per il post che mi irrigidisco, anzi, è davvero tenero, ma più che altro il ricordo legato a ieri sera.

«Per qualsiasi cosa chiamami» mi aveva detto. Qualsiasi, qualsiasi cosa. Persino per questo malessere che mi perseguita fin da ieri sera e che è andato ad aumentare non appena mia madre mi ha urlato contro infuriata per il fatto che sapessi tutto di Eddie e fossi stata zitta, oppure quando sono entrata in camera di mio fratello per consolarlo e stargli vicino, trovandolo il lacrime, in preda agli spasmi e completamente distrutto. Mi aveva urlato di andarmene, di lasciarlo in pace, cacciandomi fuori con una brutalità incredibile.

Sospiro e mi rannicchio di più sotto alle coperte. Vorrei chiamare Charlie, davvero, la mia mente sta combattendo aspramente contro quella parte di me che mi dice di cliccare il suo maledetto contatto e sentire squillare il telefono, ma non posso che diamine! Sono le cinque del mattino, le cinque del mattino di una domenica terribile e odorante di sangue. Nemmeno una nonnetta di ottant'anni telefonerebbe al nipote alle cinque del mattino.

Sbuffo e sbatto il telefono contro il piano del comodino, mentre un leggero botto rimbomba nel silenzio seccante di quella casa. Sempre a tentoni cerco l'interruttore dell'abat jour e lo accendo, illuminando l'intera camera di arancione. Prendo il mio diario, lo apro e faccio scricchiolare leggermente la carta. Sospiro, crogiolandomi in quel profumo che sa levarmi tutti i mali.

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