Prologo

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Ciao a tuttə, è la prima long che scrivo quindi spero non faccia schifo (come al solito).
Nata da un'idea di s0fstories che ringrazio per sopportare le mie ansie e per darmi sempre consigli.
n.b. mi piace il calcio ma non ne so praticamente niente quindi perdonate possibili errori.

Che Manuel fosse agitato era ovvio, soprattutto agli occhi di Anita. Guardando il figlio dall’altra parte del tavolo, poteva benissimo vedere le mani che tramavano leggermente intorno alla tazzina da caffè e poteva sentire la gamba che si muoveva su e giù freneticamente.

Manuel si era fermato a casa di sua madre prima di andare a lavoro, al suo primo giorno di lavoro. Era agitato si, ma ogni volta che sua madre lo chiedeva lui rispondeva con un no secco.

Perché sei così agitato Manuè? Non stai a diventà presidente degli stati uniti, sei un allenatore di calcio, basta co tutte ste seghe mentali.

Si, allenatore di calcio. Aveva abbandonato la strada della filosofia e della meccanica qualche anno prima quando, dopo un periodo molto buio, aveva riscoperto la sua passione per il calcio e aveva deciso di intraprendere il percorso per diventare allenatore.

Bevve l’ennesimo sorso di caffè amaro per poi posare la tazzina sul tavolo di quella cucina così familiare.

«Vedrai che andrà bene, ti adoreranno tutti.» cercò di tranquillizzarlo Anita, mettendo una mano sulla sua e lasciandoci qualche carezza.

«Lo so, Ma’. Co’ ragazzetti nun c’ho mai avuto problemi, con i genitori… vabbè, ‘o sai che so na testa calda.»

«Na testa di cazzo più che altro, visto come te sei sempre comportato co i professori e i tuoi compagni, e ora con i colleghi-»

«Vabbè Ma’, che c’entrano mo ste cose?!» disse Manuel innervosendosi. Non era più un ragazzino e sapeva che, se voleva tenersi quel posto che tanto aveva desiderato, doveva fare il bravo.

Guardò l’orologio fisso appeso in cucina, «Meglio che vada, nun voglio fa tardi il primo giorno.»

Anita lo abbracciò forte augurandogli buona fortuna e Manuel uscì di corsa di casa andando verso la sua solita vecchia moto.

Aveva accantonato il mondo della meccanica, ma non quello delle moto. Soprattutto ora che viveva da solo da qualche anno, la sua moto era sempre rimasta l’unico punto fermo della sua vita (insieme a sua madre) e ci teneva ancora più di prima, era come una figlia per lui.

Salì in sella allacciandosi il casco e partì direzione Trigoria.

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La scritta AS ROMA sul cancello principale fu la prima cosa che lo accolse.

Ironia della sorte lo avevano preso ad allenare le giovanili della Roma, fascia di età 12-15, ovvero quelli che, con un po’ di fortuna e impegno, sarebbero entrati a far parte della primavera e forse della prima squadra.

Non fece in tempo a parcheggiare la moto che Francesco, quello che da quel giorno sarebbe diventato il suo superiore, gli andò incontro.

«Ciao Manuel, finalmente! Speravo arrivassi un po’ in anticipo così ti posso far fare un giro veloce della struttura.» Francesco esibì uno dei suoi sorrisi migliori e lo invitò a seguirlo.

«Sei fortunato che la prima squadra oggi non c’è, che di solito qua davanti c’è sempre qualche fan.»

Manuel sorrise pensando che lui non sarebbe mai andato fuori da quel posto ma ora si era ritrovato a lavorarci dentro. Assurdo.

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