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Il campanello di casa Balestra suonò avvisando Simone e Jacopo dell’arrivo del loro ospite.

Simone, intento a chiudere la borsa da viaggio che era poggiata sul suo letto, chiese al figlio di andare ad aprire alla porta. Jacopo, che ormai era diventato un asso a camminare con le stampelle, arrivò in un batter d’occhio alla porta, aprendo il portone principale e socchiudendo la porta d’ingresso da dove, pochi minuti dopo, spuntarono i ricci ribelli di Manuel.

«Ciao Manu – lo salutò il ragazzo per poi tornare verso camera sua a finire di preparare lo zaino – mio padre è in camera sua.»

Gli faceva ancora un po’ strano essere chiamato Manu da Jacopo ma, dopo che qualche giorno prima era stato invitato a casa Balestra per la prima volta in veste ufficiale di fidanzato, il ragazzo lo aveva subito accolto a braccia aperte abbandonando il mister e iniziando a chiamarlo per nome – almeno fuori dal campo sportivo.

Appena varcò la porta della camera vide subito Simone in difficoltà. Era in ginocchio sul letto, con il borsone tra le gambe, mentre cercava di chiuderlo disperatamente. Manuel poggiò le mani sui suoi fianchi, «Che bel benvenuto me stai a dà.»

Simone sbuffò ridendo, sempre il solito. «Vuoi na mano?» chiese vedendolo scendere da letto, «Si, ti prego.» e, con il suo aiuto, pochi minuti dopo la borsa giaceva in fondo al letto chiusa e pronta per partire.

«Non me hai manco salutato.» gli fece notare il più grande, tirandolo a sé e stringendo i suoi fianchi. Ben presto le loro labbra si trovarono, dando a entrambi il saluto che desideravano.

Manuel tirò Simone ancora più a sé, sentendo il corpo contro il suo, «Non voglio partire.» sussurrò il corvino sulle sue labbra.

«So' solo tre giorni, n’è mai morto nessuno, Simò.» disse facendolo ridere. «Senza Jacopo e senza di te mi sembreranno eterni.»

Catturò nuovamente le labbra dell’altro in un bacio, chiudendo gli occhi e approfondendolo il più possibile. Appena sentì la mano del corvino scendere sul suo fondoschiena per stringerlo, Manuel ridacchiò staccandosi leggermente, «Ce sta tu fijo de là, Simò.»

Simone alzò le mani con fare innocente, «Non volevo fare niente.» mentì spudoratamente, per poi tornare serio di colpo. «Sicuro che… insomma, non ti dispiace tenere Jago da te stanotte? Poi domani viene mio padre a prenderlo agli allenamenti, lo giuro! Solo che stasera non poteva e-» il flusso di parole e di pensieri di Simone lo colpì in pieno.

«Ehi, amore, non c’è nessun problema. Jacopo può stare da me quanto vuole, okay?» lo rassicurò posando una mano sulla sua guancia e sentendo la morbidezza di quella pelle sotto il suo tocco.

Simone annuì, sapeva che glielo aveva chiesto già mille volte da quando aveva ricevuto la comunicazione da lavoro – avevano bisogno di lui nella sede di Milano per una pratica più insidiosa e importante da sbrigare velocemente – ma era comunque un po’ preoccupato dei casini che avrebbero combinato quei due in sua assenza.

Già fanno comunella contro di me quando ci sono, non oso immaginare in queste ore da soli.

«Okay, si io… lo so, lo so.» buttò fuori l’aria dai polmoni, tornando a respirare sulle labbra morbide dell’allenatore.

Poco dopo si ritrovarono tutti e tre fuori dal palazzo, Manuel con la borsa da calcio di Jacopo in una mano e lo zaino con i libri e i vestiti di ricambio nell’altra e Simone con la sua borsa da viaggio in spalla.

Una volta posato tutto nelle rispettive macchine, Simone strinse a sé Jacopo, passando una mano tra i suoi ricci ribelli e lasciandogli un bacio sulla fronte. «Ci vediamo tra tre giorni, okay? Dopo la partita ti vengo a prendere e andiamo a cena solo io e te, così mi racconti tutti i danni che avrai fatto con Manuel e il nonno.»

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