11

2.3K 132 23
                                    

Simone continuava a picchiettare le dita con fare nervoso sul volante della sua macchina mentre, imbottigliato nel traffico mattutino di Roma, stava accompagnando Jacopo a scuola.

O almeno ci stava provando.

Suonò per l’ennesima volta il clacson inveendo verso il guidatore di fronte a lui, il picchiettio si fermò per un attimo per poi riiniziare con un ritmo più veloce.

«Pa’? – Jacopo cercò di attirare la sua attenzione, guardando lo sguardo perso nel vuoto e la mascella serrata del padre – Pa’?»

Simone sentì una mano scuoterlo leggermente e, appena si girò con il volto verso destra, trovò gli occhi grandi del figlio che lo squadravano alla ricerca del motivo del suo nervosismo.

Che poi, nemmeno Simone sapeva perché si sentiva in quel modo. Da quando la sera prima Manuel gli aveva – anche se tra le righe di una citazione di un film Marvel che Jacopo lo aveva obbligato a guardare – detto che lo amava.

Manuel lo amava e Simone non riusciva a crederci. Dopo 12 anni, dodici anni, aveva ottenuto una dichiarazione d’amore da parte di Manuel. Per messaggio.

Per messaggio. Forse era proprio questo che lo aveva reso così… teso.

Dopo tutto questo tempo, dopo anni senza rivolgersi parola, ti dichiari per... messaggio? No, non lo accettava.

«Tutto bene?» gli chiese il figlio con sguardo indagatore.

«Si, io… - il clacson della macchina dietro gli fece riportare gli occhi sulla strada, facendogli notare che le macchine davanti si erano mosse lasciandolo il solo responsabile della coda formatasi dietro di lui – cazzo.»

Partì velocemente, cercando di recuperare il tempo che aveva perso a fissare il vuoto. «Pa’, accosta.»

Simone si girò per un secondo, pensando di aver capito male. «Cosa?» «Accosta, ora.» ripeté Jacopo con tono serio.

Appena la macchina fu ferma, Simone si girò verso il figlio preoccupato. «C’è qualcosa che non va, Ja? Ti senti male?»

Jacopo alzò un sopracciglio mentre guardava il padre come fosse un alieno, «Io sto benissimo, sei tu quello che deve parlare.»

A Simone si bloccò il fiato in gola, Jacopo lo aveva fatto fermare perché si era accorto del suo nervosismo. Sospirò abbassando lo sguardo, per quanto ci provasse suo figlio – anche se non era sangue del suo sangue – lo capiva meglio di chiunque altro, meglio anche di sé stesso, era ovvio che avrebbe percepito qualcosa nell’aria.

«Non mi dire “non è niente”, ho 15 anni ma non sono scemo.»

Simone si lasciò andare contro il seggiolino, guardando Jacopo e sorridendo lievemente. Allungò una mano e la passò in mezzo ai suoi capelli, «Non dovresti preoccuparti per me, tu sei il figlio e io il padre ti vorrei ricordare.»

«Ma se non mi prendo io cura di te, chi lo farà? – disse ridendo Jacopo sapendo benissimo la risposta – poi io non devo, io voglio. E l’unica cosa che voglio è che tu stia bene e che sia felice.»

Simone gli mise una mano sulla fronte, «Sicuro di stare bene? O di avere 15 anni e non 30?»

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, per poi guardare l’ora nel cruscotto e puntare gli occhi su suo padre sorridendo, «Beh, ormai non arriverò mai in tempo a scuola. Quindi, entrando in ritardo, abbiamo più di un’ora per parlare dei tuoi problemi da padre single – si girò verso il finestrino per sussurrare l’ultima parte – ammesso che tu sia ancora single.»

Back of the net  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora