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Faceva molto caldo quel giorno, l’allenamento era iniziato da poco ma sia i ragazzi che lo staff che li stava seguendo erano già in un bagno di sudore.

Sotto il sole di settembre quella polo bianca con lo stemma della Roma e quei pantaloni rossi che riprendevano lo stemma non erano proprio d’aiuto a Manuel che, proprio quella mattina, aveva dimenticato di prendere i pantaloni della divisa estiva.

«Sto a morì.» disse allargando la maglia per farci entrare un po’ d’aria.

Con lui quel giorno c’erano due ragazzi che avevano circa la sua età, Federico e Mattia, il preparatore atletico e il fisioterapista che lo avrebbero assistito per tutta la durata della stagione.

Manuel guardò l’orologio nero che aveva al polso per la terza volta da quando aveva dato il via agli allenamenti. Riportò lo sguardo sul campo e sui ragazzi, «Loterzo non si è presentato neanche oggi.» constatò ad alta voce.

«E nessuno ha avvisato, il che è strano, con tutti gli sforzi che fanno questi ragazzi per guadagnarsi un posto in squadra non capisco come qualcuno possa buttare via questa opportunità così.» disse in modo pacato Federico per poi andare a correggere dei movimenti di un ragazzo.

«Sicuramente non ci fa una bella figura Jacopo, e ci sta sia colpa dei genitori.» aggiunse Mattia.

Manuel guardò ancora una volta l’orologio.

«Vado un attimo in segreteria a vedere se qualcuno ha chiamato, sennò provvederò io stesso a contattare la famiglia.»

Mattia annuì per poi andare verso Federico a informarlo che Manuel si stava assentando.

Appena Matilde lo vide gli fece segno di avvicinarsi, «Il ragazzo nuovo, Jacopo, è appena arrivato. È corso a cambiarsi.»

Manuel guardò in direzione degli spogliatoi per poi tornare alla ragazza. «Bene, almeno si è presentato. I genitori hanno detto qualcosa?»

«Si beh – delle urla provenienti da fuori attirarono l’attenzione di entrambi – quello che sta urlando mi sa che è il padre, si è scusato molteplici volte e, appena è uscito, ha iniziato a litigare con qualcuno al telefono. Sei vuoi andare a parlarci-»

A Manuel non erano mai piaciute le liti, infatti pensò per un attimo di lasciar stare per quella volta e affrontarlo in un altro momento. La voce si fece ancora più alta e – anche per il quieto vivere del centro sportivo – decise di uscire per parlare con questa persona.

Appena varcò la soglia le parole che prima non erano molto chiare, perché ovattate dai muri, gli arrivarono forti e chiare.

«DOVEVI – DOVEVI FARE SOLO UNA COSA MENTRE ERO VIA, PORTARLO AGLI ALLENAMENTI! SAI QUANTO HA LAVORATO PER RIUSCIRE A ENTRARE QUA?! NO, NON LO SAI PERCHÉ NON CI SEI MAI STATO!»

Individuò facilmente da dove venisse la voce e, svoltando leggermente a sinistra imboccando la strada per i parcheggi, lo vide.

In un completo blu che sembrava molto costoso e con degli occhiali da sole incastrati tra i ricci per impedire che gli cadessero sul volto, Simone Balestra stava inveendo contro chissà chi.

Manuel si bloccò appena lo riconobbe. Cazzo, ma non è possibile.

Era più alto di quanto ricordasse, o forse erano solo quei pantaloni blu che lo slanciavano così tanto – e che gli facevano un culo stratosferico, pensò.

Simone era di lato ma, mentre continuava a litigare, continuava a muoversi e dargli le spalle.

Manuel pensava si sarebbe sentito male, erano anni che non vedeva né sentiva Simone. Dopo tutto quello che era successo tra di loro, non erano mai riusciti a tornare quelli di prima quindi, una volta finite le superiori, Simone se ne era andato a studiare in Inghilterra ed era scomparso dalla sua vita.

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