7

2.3K 123 20
                                    

⚠ Smut
Scusate per l'orrore.

Ding

«Simò-» quello che voleva essere l’inizio di una frase di senso compiuto finì ancor prima di iniziare, un gemito sostituì il resto della frase andando a morire sulle labbra del più piccolo.

Due dita di Simone si intrufolarono oltre il bordo dei jeans di Manuel, il pollice lo infilò in uno dei passanti per la cintura. Simone tirò per i jeans Manuel facendo scontrare i loro bacini.

Il più grande stava perdendo tutta la sua lucidità e calma. Si era già dimenticato il perché aveva chiamato Simone e di conseguenza dove fossero.

Un rumore metallico di porte lo distrasse dalla bocca dell'altro.

Aprì un attimo gli occhi e vide le porte dell’ascensore richiudersi. Strabuzzò gli occhi ricordandosi improvvisamente dove fossero, fece per staccarsi dalle labbra rosse e invitanti di Simone quando - Cazzo.

Simone, che lo teneva per i jeans e lo aveva – appena avevano messo piede in quell’ascensore – messo letteralmente al muro, iniziò a ruotare leggermente i fianchi procurando un attrito tra le due erezione - ormai già formate - coperte da strati di stoffa.

Manuel gemette appoggiando la testa contro la parete di metallo freddo dietro di lui, fortunatamente non vi fu eco visto la chiusura precedente delle porte.

Colse l’occasione al balzo e «Simò, siamo- siamo arrivati.»

Simone si staccò completamente dal suo corpo, le sue mani tornarono lungo i suoi fianchi. Manuel la sua presenza però se le sentiva ancora addosso, come se lo avessero marchiato a fuoco in ogni punto che Simone aveva toccato, stretto, baciato, morso, assaggiato.

E c’avete ancora tutti i vestiti addosso, pensa come te sentirai tra n’po’

Simone schiacciò il tasto per far riaprire le porte e, senza staccare gli occhi da Manuel, uscì ritrovandosi su un pianerottolo con tre porte.

Manuel prese le chiavi dalla tasca della giacca e, intrecciando la sua mano con quella di Simone, lo condusse davanti alla sua porta.

Una volta dentro, Manuel non fece in tempo a chiudere la porta che si ritrovò Simone nuovamente addosso. Le loro labbra si riunirono velocemente, come se, ora che si erano ritrovate, non riuscissero a stare le une senza le altre per più di due minuti. Ogni volta che succedeva, Manuel provava sempre la solita sensazione: si sentiva come se fosse tornato a casa dopo anni.

Simone scese con la bocca sulla mascella di Manuel, delineandone la forma con la lingua. Il più grande infilò le mani sotto il maglione dell’altro passando le mani sulla sua schiena graffiandola leggermente.

Un gemito si infranse sul collo immacolato di Manuel, dove Simone stava cercando di lasciare un segno semipermanente del suo passaggio. La bocca del più piccolo si fermò in un punto poco sopra il pomo d’Adamo e, dopo aver bagnato con un po’ di saliva la superficie, iniziò a succhiare e a lasciare piccoli morsi così da lasciare un bel segno violaceo che ricordasse a Manuel della serata passata insieme.

Dopo l’ennesimo gemito e una sequela infinita di “Simo Simo Simo” sussurrati tra un sospiro e l’altro, Simone si staccò sentendo qualcosa che strusciava contro la sua gamba.

Manuel sentì improvvisamente freddo e, aprendo gli occhi, capì il perché.

Simone si stava rialzando da terra con un batuffolo di pelo bianco - a lui molto familiare – tra le braccia.

Schopenhauer iniziò a fare le fusa appena Simone iniziò a grattargli la testa e a lasciargli varie carezze lungo la schiena.

Lo sguardo di Simone si spostò dal gatto a lui, «Hai un gatto? TU? La persona più amante dei cani che conosca?»

Back of the net  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora