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Jacopo stava osservando suo padre mentre guidava. Da quando era rientrato da fumare aveva un espressione strana in volto, come turbata.

«Perché continui a fissarmi?» chiese Simone senza staccare gli occhi dalla strada mentre continuava con il pollice della mano destra a torturarsi gli anelli appena poteva staccarla dal volante o dal cambio.

Erano usciti da quella pizzeria da 10 minuti ed era da almeno venti che non si stava dando pace. Chissà perché.

«Sei strano.»

Simone rise, «Detto da te è un complimento.»

Jacopo gli schiaffeggiò il braccio. «Sono serio! Di cosa avete parlato te e il Mister?»

Jacopo non era stupido e neanche cieco, aveva notato il cambiamento d’umore del padre – in meglio – quando si trovava vicino a Manuel. E forse le foto che aveva trovato una settimana prima durante la fine del trasloco lo avevano aiutato a focalizzarsi sui dettagli.

Come il fatto che suo padre non gli avesse detto che conosceva il Mister. Molto strano visto che mi dice tutto. Aveva provato anche a chiederlo direttamente a lui una sera ma erano stati interrotti da suo nonno Dante. Chissà se il nonno lo conosce.

Simone rischiò di perdere il controllo del mezzo per un secondo ma, cercando di assimilare la domanda più velocemente possibile, diede una risposta secca che fece storcere il naso a Jacopo – suo padre non era mai stato bravo a raccontare le bugie.

«Niente, abbiamo parlato di te e del tuo rendimento. Mi ha detto che sei molto bravo, uno dei migliori.»

Jacopo annuì non credendo a una sola parola di tutto ciò.

Simone parcheggiò sotto casa per poi prendere la borsa da allenamento e avviarsi insieme a lui su per le scale.

Non era tanto tardi, sicuramente avrebbero ritardato di più se solo Simone non avesse insistito per andare via dopo essersi inventato una scusa poco credibile, “Scusate, mi sono dimenticato di finire una cosa importante per lavoro. Dobbiamo proprio scappare.”

Meglio di quella che rifilai a Laura sul tramezzino marcio sicuramente.

Quindi avevano salutato tutti e avevano lasciato Manuel e gli altri due ragazzi dello staff – di cui non si ricordava il nome – ad aspettare i genitori degli altri calciatori.

Aveva a stento salutato Manuel, solo con un cenno della mano da lontano.

15 minuti prima volevi infilargli la lingua in bocca e dopo hai fatto il prezioso non rivolgendogli manco un saluto decente. Mah.

Mentre salivano le scale un rumore di passi distolse l’attenzione di Jacopo dal telefono che aveva in mano.

Videro poco dopo spuntare dalla porta Sofia, la ragazza che abitava nel loro stesso palazzo, vestita di tutto punto e pronta per uscire.

«Ciao Simone! Ciao Jacopo! Com’è andata la partita?» chiese lei tutta sorridente.

Jacopo arrossì di botto e sussurrò solo un flebile “ciao” per poi lasciare la parola al padre.

Simone trattenne una risata per la reazione del figlio, la prima volta che avevano visto Sofia lui si era preso immediatamente una cotta per lei. La situazione era oggetto di “discussione” tra padre e figlio, visto che l’adulto non perdeva occasione per prenderlo in giro.

«Bene Sofi, grazie. Jacopo ha fatto anche un goal e un assist. Vero, Jacopo?» chiese Simone voltandosi verso il figlio e stropicciandogli i capelli.

Jacopo arrossì di nuovo, «Seh.»

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