Infilo la chiave nella serratura e apro la porta di casa. «Nonna, sono a casa!»
Chiudo il battente alle mie spalle e mi sfilo le scarpe. Devo ammettere che, sebbene all'inizio il cambio sia stato traumatico, le sneakers mi stanno molto più comode rispetto alle ballerine che ero solita indossare.
Sfilo anche i calzini, li adagio nelle scarpe e metto piede sul parquet. Un formicolio mi solletica le piante dei piedi.
Nonna Gina si palesa sull'uscio della cucina, da cui proviene un sensazionale profumo di arrosto. «Bentornata, Marinetta.»
Indossa un grembiule da cucina sporco di verdure tritate, sopra al solito look da motociclista incallita. Mi schiocca un bacio sulla fronte, mi posa le mani sulle spalle e mi scruta con i suoi occhi cerulei. «Cosa ti turba mia cara?»
Apro la bocca, ma nessuna risposta - o scusa - affiora dalla gola. In passato, consideravo nonna Gina una donna amante dell'avventura e poco attenta quando si tratta degli affetti familiari: teoria confermata dal fatto che mi regalò una magliettina per bambini al mio quattordicesimo compleanno.
Invece, da quando abbiamo iniziato la convivenza ha sviluppato delle doti da mastino della polizia. È in grado di capire se una giornata è andata storta solo con un'occhiata.
Mi accarezza la guancia e mi sorride. «D'accordo. Me ne parlerai dopo se lo vorrai.»
Annuisco e abbozzo un sorriso che suona finto persino a me che non lo vedo.
Leon sbuca dal corridoio e zampetta fino alle mie ginocchia, scodinzolando. Mi gira intorno annusandomi e solleva le zampe anteriori posandole sul mio petto.
Mi chino sulle ginocchia e lo abbraccio, affondando il naso nel suo folto pelo nero e profumato.
«Va' pure in camera, mia cara.» Nonna Gina strizza l'occhio. «Ti chiamo io quando è pronto.»
«Grazie nonna.» Mi sollevo. «Vieni, Leon.»
Chiudo la porta della camera, getto lo zaino a terra e mi tuffo sul letto, sulla coperta con la Tour Eiffel stampata sopra.
Non posso continuare così, a farmi avvelenare questa bellissima esperienza da Letizia. Giorno dopo giorno, peggiora sempre di più e io, da stupida, le vado anche dietro. Oggi le ho permesso di tentare un omicidio nei miei confronti, di insultare le mie doti di pasticciera - che già non sono eccelse, se poi ci si mette anche lei la mia autostima scende sottozero -, di mettere a disagio Sonia, Juan e Richard e di presentare una sua opera al posto mio.
Leon balza sul letto e avvicina il muso al mio naso, fissandomi con i suoi occhioni scuri. Come se comprendesse il mio turbamento. Anzi, di sicuro lo comprende.
Gli accarezzo la testa. «Per fortuna ho te.»
Tikki mi svolazza davanti al viso, le zampette incrociate in petto, l'espressione corrucciata.
Le tocco la punta del naso con l'indice. «E ovviamente te, amica mia.»
Tikki rilassa il volto. «Non capisco perché non sei entrata anche tu dal professor Ursi.»
«Perché so già che avrebbe trovato mille difetti nei miei bozzetti. Specialmente dopo aver ammirato le meraviglie disegnate da Letizia.»
«Questo non puoi saperlo. Né tu, né lei siete professioniste nella moda. Avete entrambe margine di miglioramento e i professori sono lì proprio per aiutarvi.»
«Non volevo fare brutta figura.»
«Ricordati che tu hai meritato almeno quanto lei di frequentare questa scuola. Sei stata ammessa perché in te hanno visto del potenziale.»
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Stiletto
FanfictionMilano, 2016. Marinette Dupain-Cheng vive la nuova realtà di studentessa dell'Accademia di Moda Bellerofonte per coronare il suo sogno di diventare un giorno una stilista di livello internazionale. Quella borsa studio ottenuta grazie al suo immenso...