Capitolo 3

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Il professor Ursi entra nella classe e rivolge a tutti il suo sorriso più splendente. Indossa giacca e cravatta eleganti e dei pantaloni di velluto che fanno venir caldo solo a guardarlo. Tuttavia, non gli si può negare che abbia un certo stile e portamento. Con i capelli grigi tirati all'indietro e quegli occhiali dalla montatura rossa, ricorda a tratti Gabriel Agreste. Solo più solare e meno orso.

Letizia e le sue amiche sedute intorno a lei si scambiano dei commenti a bassa voce, ridacchiando e gettando occhiate maliziose al professore, che si accomoda alla cattedra.

«Civette in calore,» borbotto.

Sotto al mio palmo sudato giace il quaderno dei bozzetti, chiuso. L'entusiasmo per il mio nuovo bozzetto si è subito spezzato appena ho posato la matita sul foglio. Quale casa di moda sceglierebbe di far vestire al proprio modello un abito dallo stile così antico?

Non ne combino una giusta. Spero che almeno la lezione mi riporti quel briciolo di passione per la materia, altrimenti, a fine anno, farò le valigie e tornerò con la coda tra le gambe a Parigi. Accantonerò per sempre il mio sogno di diventare una stilista e mi dedicherò alla pasticceria, sperando di non fallire anche lì.

Ursi si schiarisce la voce e il brusio della classe si spegne. «Prima di cominciare la lezione, ho un annuncio importante per voi. Nei prossimi giorni, voi studenti del mio corso inizierete a lavorare a un progetto di moda: dovrete progettare, disegnare e, infine, confezionare un abito maschile. I lavori verranno presentati ad una giuria, composta da me e da alcuni esperti del settore che ospiteremo.»

Un coro di entusiasmo si solleva dalla classe. Alcuni battono le mani, Letizia si schiaffeggia più volte la chioma bionda, Sonia mi guarda e agita le folte sopracciglia.

Ursi batte le mani due volte per moderare i toni dell'aula. «Giudicheremo il vostro operato e sarà sancito un vincitore, il cui capo verrà indossato all'ufficiale sfilata che si terrà a Milano tra due settimane.» Si spinge gli occhiali sul naso. «Voglio precisare che non è obbligatorio partecipare, ma chi deciderà di farlo, riceverà dei crediti che saranno aggiunti alla pagella di fine anno.»

Sonia alza la mano, il professore la dà parola. «È possibile lavorare in gruppo?»

Ursi si gratta la nuca. «Direi che non c'è nessun problema. Gradirei, però, che i gruppi non superino i due elementi. Ritengo che sia più pratico e limiterebbe il rischio che un solo elemento lavori e gli altri si prendano il merito.»

Dal banco in prima fila, Sonia si volta a guardarmi, indica prima sé stessa, poi me, e infine unisce gli indici.

Vuole che faccia coppia con lei. Ma io non sono nemmeno sicura di partecipare: dopo le cocenti delusioni dei miei ultimi bozzetti, ho il morale sotto le suole e la mia creatività è pari a quella di un comodino.

Mi porto due dita alla tempia e le roteo, indicando che ci penserò. Sonia piega le labbra verso il basso e annuisce mesta.

Ecco. Ne ho sbagliata un'altra e ora la mia amica è delusa.

***

Pigio il pulsante del quarto piano e l'ascensore parte con un sussulto. All'uscita da scuola ho deciso di rientrare a casa a piedi, percorrendo a passo lento strade, stradine, dedali e vicoli. Chilometri e chilometri sotto al sole cocente, con l'umidità che penetra fino alle ossa.

Ho le piante dei piedi che bruciano, i muscoli delle gambe che dolgono. Chiederò alla nonna di prepararmi un pediluvio rilassante. Pinzo la maglietta che mi si è appiccicata addosso; se la spremessi, potrei riempire metà di un secchio. L'altra metà la riempirei con il sudore che mi gronda dalle tempie.

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