Capitolo 10

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Attraverso il cancello della scuola e mi incammino verso l'ingresso. Sulla facciata sono stati stesi due teli rossi dalla coda biforcuta che pubblicizzano la sfilata che avverrà sabato prossimo, quando verrà annunciato il vincitore della gara.

Per rendere la manifestazione più interessante, i giudici hanno disposto che non verrà dichiarato direttamente il vincitore; il pubblico vedrà il capo migliore sfilare indosso ad Alessio.

Svolto a destra nel corridoio, dirigendomi verso l'aula magna. Solo per la giornata di oggi, tutte le lezioni sono state sospese, ma gli studenti sono stati comunque invitati a seguire la presentazione degli abiti in gara.

Eppure, nonostante il mio interesse nei confronti di questo progetto sia cresciuto sempre di più col passare dei giorni, oggi non riesco a pensare ad altro che ai Satiri. Non riesco a togliermi dalla testa la vista di quegli ordigni che quei due stavano installando nell'ufficio del preside e il pensiero che possano riprovarci mi scombussola.

Sbircio dalla porta. Dietro alla cattedra sono già accomodati un uomo con uno sgargiante completo verde pisello e la donna che era presente il giorno delle iscrizioni, anche oggi munita di sciarpa intorno al collo.

Davanti a loro, è disposta una dozzina di manichini spogli, sui quali andranno appuntati i vari capi partecipanti. All'altezza del petto, spicca una targhetta dorata dove sono affissi i nomi corrispondenti agli studenti.

Mi strofino i palmi l'uno contro l'altro. Per fortuna, Sonia si è offerta di redigere per intero il discorso di presentazione del capo, in modo da bilanciare le ore che ho passato a cucire ogni singolo filo. E poi, oggi non ho proprio la testa per applicarmi a trovare le parole adatte: sono certa che mi incarterei con la lingua e finirei per creare un bel pasticcio.

In prima fila, al posto più esterno, è seduta una ragazza con un gilet di jeans tempestato di brillanti e una fluente chioma bionda a boccoli. Letizia. Si torce le dita e se le porta a tratti alla bocca, mangiucchiando le unghie a cui tiene tanto.

Accidenti. Non avevo la minima idea che potesse essere nervosa per la gara. Proprio lei che ostenta sempre la sicumera di primeggiare in qualsiasi attività che fa - anche se per quanto riguarda la moda, i suoi meriti tendono pressoché allo zero.

Se è così insicura del lavoro svolto dai suoi "assistenti", poteva anche pensarci da sola a disegnare, confezionare e presentare il progetto. Non ho idea del risultato che ne sarebbe uscito, ma almeno avrebbe avuto la soddisfazione di fare qualcosa con le sue graziose manine da fata. Forse, però, è un concetto troppo al di sopra delle sue capacità.

Il professor Ursi sbuca da uno degli ingressi laterali all'aula. Veste una semplice camicia bianca e dei pantaloni in cotone scuri. Porta i capelli ben pettinati, con dei ciuffi bianchi che gli striano le tempie, e una nuova montatura d'occhiali, nera con finiture in oro.

Scambia una parola con l'uomo in verde pisello, si volta e mi rivolge un cenno con la mano.

Ricambio il saluto.

Sale le scale, saluta Letizia, e mi viene incontro. Si accosta al battente. «Buongiorno, Marinette. A differenza degli altri giorni, sei piuttosto in anticipo oggi.»

«Buongiorno a lei, professore. Ho preferito sbrigarmi prima, non avrei perso per nulla al mondo l'occasione di oggi.»

«Sai, sono rimasto piuttosto sorpreso dal fatto che tu non ti sia iscritta alla gara.»

Un brivido gelido mi serpeggia lungo la schiena. «C-Come?»

Ursi piega le labbra in un mezzo sorriso. «Tendo a non essere troppo prodigo di complimenti, ma tu, Marinette, sei una studentessa brillante. Ero certo che avresti partecipato e, con la creatività che ti ritrovi, avresti potuto conquistare la vittoria.» Alza le spalle. «Confido che la prossima volta ci farai più di un pensiero. Mi secca sprecare talenti come il tuo.»

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