𝟎𝟏.

276 18 20
                                    


𝐏𝐈𝐋𝐎𝐓
© 𝗅𝖺𝗉𝗂𝗅𝗅𝗐𝗌

( 𝟯 𝗺𝗲𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 )

«Padre, stavate per dimenticare il vostro taccuino.»
Il ragazzo lo raggiunse di corsa, allungando poi la mano verso la carrozza nella quale l'altro stava prendendo posto. Alla vista delle decorazioni del veicolo si lasciò sfuggire un'esclamazione di pura sorpresa. Era ornata d'oro puro.

«Che c'è, figliolo? Ti immaginavi qualcosa di meno degno della famiglia reale?» con una piccola risata gli diede una pacca sulla spalla, ringraziandolo per avergli portato il suo prezioso taccuino.

Durante la sua infanzia Wooyoung aveva rubato spesso il grande borsone di lavoro al padre, incuriosito da quel blocco pieno di scarabocchi e foglietti che, nonostante già da allora fosse consumato dagli anni d'uso, sembrava più importante di qualsiasi altro tesoro. Il padre gli aveva raccontato che si trattava di niente meno del segreto del suo successo. Ogni volta che nella mente spuntava una qualsiasi ipotesi per un caso, non importava dove fosse: sulla scena del crimine, fuori servizio, o addirittura nel letto; lo doveva scrivere subito, senza correre il rischio di perderlo. «È questa la differenza tra un investigatore di successo e uno che lavora invano: capire che la mente umana non ha orari prefissati in cui lavorare. La soluzione può spuntar fuori anche nel più inaspettato dei momenti.» diceva.

Ogni volta che lui parlava, Wooyoung lo guardava con ammirazione.
Era cresciuto all'ombra delle bacheche di sughero sulle quali il padre legava lettere, manoscritti e piccoli oggetti con fili di spago. All'età di dieci anni già lo aiutava a risolvere i casi più vari con le sue idee stravaganti, credendo di rendersi utile per la causa.

Forse i gioielli degli HampShire sono stati mangiati dal cane, avete controllato?
Siete sicuro che il maestro del signor Joseph sia morto per davvero? Magari voleva solo fargli uno scherzo!

Il padre non l'aveva mai rimproverato, nè fatto sentire uno sciocco; anzi, lo incoraggiava a formulare altro, a smuovere la mente, plasmandola in un piccolo palazzo d'astuzia destinato a salire sempre più in alto e seguire le sue orme.

Dieci anni dopo stava per andarsene, ancora una volta.
C'era una novità, però: era diretto al palazzo reale.
Erano quasi finiti in miseria; il suo era un mestiere troppo imprevedibile per avere un guadagno stabile e, così, i debiti si erano accumulati uno dopo l'altro. Quando ormai erano arrivati al punto di vendere i gioielli della defunta madre per saldare i conti in sospeso, finalmente si era presentata l'occasione per risollevarli. Un caso di massima importanza, presso nientemeno che il prestigio in persona: il re. Grazie ai suoi successi si era guadagnato una certa fama nel regno, così, un giorno, si erano trovati davanti a casa un inviato dal castello.

Wooyoung non conosceva nient'altro, dato il segreto professionale, specialmente se la questione riguardava qualcuno di così importante. Aveva tentato a lungo di scoprire qualcosa, convincere il padre a dargli almeno qualche indizio, ma ogni volta lo congedava con la stessa frase ammonitiva: se ti uscisse di bocca, ne andrebbe della tua stessa vita.
Aveva compreso che per quella volta avrebbe dovuto lasciarlo andare senza sapere niente: erano disposti a pagarlo in anticipo, e generosamente. Ai sovrani piaceva ostentare le proprie ricchezze, perciò il minimo per loro sarebbe stato il doppio di una paga comune. Sarebbero riusciti a saldare tutti i loro debiti e averne ancora a disposizione per un paio d'anni. Insomma, pareva che il cielo li avesse davvero ascoltati.

Credeva che, in un castello, sarebbe stato al sicuro più di chiunque altro.
Se lo ripeteva ogni giorno, in attesa del suo ritorno di data incerta.
Anche quando, un mese dopo la sua partenza, era intento a preparare qualcosa di caldo nella giornata d'inverno più gelida e aveva udito bussare alla porta.
Anche quando, attraverso lo spioncino, aveva visto il volto dell'uomo che era venuto a prendere il padre il mese prima.
Anche quando aveva notato che l'ospite era vestito completamente di nero, secondo un protocollo che tutti conoscevano.
Il protocollo del lutto.

⋆⋆⋆

( 𝗼𝗴𝗴𝗶 )

«Signor Jung, porto notizie per le quali è meglio prendiate posto.», annunciò sorpassando la porta.

Fece segno al ragazzo di sedersi sul sofà del piccolo salotto, come fosse lui il padrone di casa. Era un atteggiamento tipico degli inviati reali: loro lavoravano per qualcuno di importante, quindi credevano di essere superiori a chiunque altro, per diritto. Pura spavalderia.

Wooyoung non contestò e, silenzioso, obbedì. La sua mente era immobile, come vittima di una paralisi. Si rifiutava di formulare qualsiasi pensiero, perchè sarebbe andata a parare in un unico punto preciso.

L'inviato prese una piccola pergamena dalla tasca e si schiarì la gola, con fare solenne. Il sigillo reale, che avrebbe riconosciuto anche se fosse stato affetto da miopia, venne rimosso e appoggiato sul tavolo.

«A Sua Maestà dole comunicare alla presente famiglia che il prode Detective Jung è venuto a mancare. La sua mente era sede d'astuzia miracolosa, e l'intera Famiglia Reale ne ha giovato. Sua Maestà ringrazia, ancora una volta, per i servigi che ha offerto fino a questo giorno. »

Wooyoung deglutì.

Due righe, due dannate righe, eppure sembrava che il regno intero gli fosse crollato addosso.
Non sapeva come, dove e nemmeno quando, ma era successo davvero.

«Sono stato incaricato di comunicarvi personalmente il resto. Inserire tali dettagli in una lettera ufficiale avrebbe portato rischi, in caso fosse finita, sapete, nelle mani sbagliate.»
Il ragazzo non rispose, così l'altro continuò.
«Vostro padre è stato vittima di un omicidio, avvenuto fuori dall'ambiente reale. La scorsa mattina non si è presentato, così le guardie l'hanno rinvenuto privo di sensi nell'ostello nel quale soggiornava. Crediamo sia stato vittima dello stesso crimine per il quale è stato convocato a corte.»

In un castello sarebbe stato al sicuro più di chiunque altro, si era ripetuto; eppure, aveva mancato un particolare.
Il padre non aveva mai soggiornato a castello.
Avrebbe dovuto prevederlo, un uomo d'animo tanto nobile quanto umile come lui non si sarebbe mai approfittato di tali privilegi. Eppure l'umiltà gli era costata la vita.

«C'è altro, signorino Jung. O, forse, da oggi dovrei chiamarla Detective Jung

Una fitta al petto gli rese impossibile respirare per qualche attimo che parve un'eternità di minuti.
Si sentiva soffocare, stringere, trascinare sempre più in basso. Il peso di ciò che aveva appena realizzato lo aveva travolto come un masso di montagna. Gli era stata appena rivelata la natura del caso; non l'avrebbero mai fatto, nemmeno per spiegare il movente della morte di suo padre, se non fosse stato per un unico motivo.

«Saprete meglio di noi che siete impossibilitato a restituire la somma che Sua Maestà ha versato a vostro padre per i suoi servigi, che, però, risultano incompiuti.»

Non avrebbe nemmeno avuto il tempo di rimpiangere la sua morte. Il cenno dell'inviato verso la carrozza indicava un segnale implicito. I suoi occhi luccicavano, quasi fosse divertito dalla macabra ironia della situazione. Per uomini come lui faccende del genere erano ciò che rendeva meno monotono il lavoro.

Il suo sguardo parlava per lui.
Fate le valigie, Detective Jung, e in fretta.

 astoria, woosanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora