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ELODIE.

Mi guardai per l'ennesima volta allo specchio, assicurandomi che fosse tutto apposto. Il che era ridicolo, visto che dovevo andare ad una cena con le mie sorelle e i loro fidanzati.

Sì, Sebastián ed Evelyn avrebbero partecipato. C'eravamo messi d'accordo nel pomeriggio.

Immaginavo che organizzare una rimpatriata tra sorelle il giorno dell'anniversario della morte di nostro padre fosse un bel modo per sostenersi a vicenda, no? A patto che ce ne fosse bisogno.

Mi passi le mani lungo il vestito nero che indossavo, mi arrivava poco sopra le ginocchia ed era molto semplice, esattamente come piaceva a me. Indossavo i tacchi dello stesso colore, ma non erano altissimi.

Il rossetto color bordeaux mi piaceva da morire e gli occhi erano coperti con l'eyeliner, niente di esagerato. Eloise mi sarebbe passata a prendere, visto che ancora dovevo rimediare una macchina.

Mandai un selfie a Thomas, sperando di poter rimediare alla conversazione che avevamo avuto, e gli chiesi un parere.

Speravo che non mi ignorasse, ma non potevo neanche pretendere che lui fosse sempre contento della situazione. Soprattutto quando io avevo avuto in mente Julián Hernández e il suo viso pericolosamente vicino, per troppo tempo.

Mi sentivo una persona orribile, Thomas non si meritava una ragazza instabile come me.

Guardai l'orario e vidi che Eloise sarebbe stata qui a momenti, così, decisi di anticiparmi e scendere già di sotto. Amavo essere puntuale.

Uscì dal portone e poi dal cancello, poggiandomi al muretto che delimitava il perimetro del condominio, aspettando. Presi il cellulare e vidi se Thomas mi aveva risposto, ma nulla.

Trovavo sempre un modo per rovinare le cose.

Scossi la testa e scacciai via i pensieri negativi e da auto commiserazione. Rimuginare e rimuginare all'infinito non mi avrebbe portata da nessuna parte, ero meglio di così.

Quando si alzò un leggero vento, pensai di ritornare di corsa in casa a prendermi una giacca, ma non mi fu possibile, perché una macchina mi si fermò davanti.

Mi si attorcigliò lo stomaco quando vidi che, a malincuore, non si trattava di mia sorella, ma di Julián.

Che diamine ci faceva qui?

Spense il motore e scese dalla macchina. Indossava una giacca nera con dei pantaloni dello stesso colore, gli stavano schifosamente bene. I suoi capelli erano alla militare, come al solito oramai e i suoi occhi marroni mi stavano letteralmente analizzando.

Il suo sguardo mi infastidì.

—Cosa ci fai tu qui?— gli domandai. Non esisteva che sarei andata in macchina con lui, avrei preferito farmi tutto il tratto a piedi, nonostante i tacchi. Non me ne fregava nulla neanche di arrivare in ritardo.

—Eloise non è potuta passare a prenderti e così Evelyn ha mandato me— mi rispose, calmo, mentre io ero un fascio di nervi.

Perché diamine hai mandato lui, Evie?

—E tu non ti sei opposto? Fammi indovinare, ti ha pagato o ti deve un favore enorme per questo?— chiesi, incrociando le braccia al petto. Lui fece di nuovo quel sorrisetto furbo, quello che portava guai, a cui non avrei partecipato.

—Comunque, sei venuto fin qui inutilmente. Non ci salgo in macchina con te— dissi, pronta a superarlo e ad avviarmi a piedi. Infatti lo sorpassai.

—Ah davvero? E dimmi, conosci la strada per il locale dove dobbiamo andare?— mi chiese alle mie spalle.

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